<La questione di legittimità costituzionale della norma impugnata è fondata con riferimento all’art. 97 Cost., che viene posto a base del ricorso con adeguata motivazione.
Questa Corte ha già affermato che non è conforme a tale
disposizione costituzionale l’adozione, per regolare l’azione
amministrativa, di una disciplina normativa «foriera di incertezza»,
posto che essa «può tradursi in cattivo esercizio delle funzioni
affidate alla cura della pubblica amministrazione» (sentenza n. 364 del
2010).
Il fenomeno della riviviscenza di norme abrogate,
quand’anche si manifesti nell’ambito delle «ipotesi tipiche e molto
limitate» che l’ordinamento costituzionale tollera, rientra in linea
generale in questa fattispecie, perché può generare «conseguenze
imprevedibili» (sentenza n. 13 del 2012), valutabili anche con riguardo
all’obbligo del legislatore di assicurare il buon andamento della
pubblica amministrazione.
Nel caso di specie, il legislatore regionale, dopo avere
dettato una regola di azione per l’amministrazione regionale, l’ha
prima abrogata; poi l’ha fatta rivivere, ma solo per un periodo di tempo
limitato e attraverso la tecnica, di per sé dagli esiti incerti, del
differimento di un termine abrogativo già interamente maturato; infine
l’ha nuovamente abrogata.
Questa Corte è chiamata a giudicare della legittimità
costituzionale proprio della fase più critica di tale manifestamente
irrazionale esercizio della discrezionalità legislativa, segnata dalla
presunta riviviscenza del divieto recato dalla legge reg. Campania n. 11
del 2011. I procedimenti amministrativi che si sono svolti in questo
periodo di tempo sono stati assoggettati ad una normativa difficilmente
ricostruibile da parte dell’amministrazione, continuamente mutevole, e,
soprattutto, non sorretta da alcun interesse di rilievo regionale degno
di giustificare una legislazione così ondivaga.
Se, infatti, il legislatore campano avesse ritenuto
prioritario imporre il divieto in questione, non si vede perché avrebbe
deciso di farlo rivivere solo fino al 30 giugno 2012, né si capisce che
cosa ne avrebbe determinato la successiva, nuova abrogazione da parte
della legge regionale n. 26 del 2012, peraltro posteriore
all’esaurimento dell’efficacia di tale divieto.
La frammentarietà del quadro normativo in tal modo
originato non è perciò giustificabile alla luce di alcun interesse,
desumibile dalla legislazione regionale, ad orientare in modo non
univoco l’esercizio della discrezionalità legislativa, così da
accordarla a necessità imposte dallo scorrere del tempo.
Ne consegue l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata per violazione dell’art. 97 Cost.>