lunedì 24 novembre 2014
L'INCIDENZA DEL PATTEGGIAMENTO SUL GENERALE ISTITUTO DELLA INEFFICACIA DEGLI ATTI DI DISPOSIZIONE A TITOLO GRATUITO COMPIUTI DAL COLPEVOLE IN TEMPO SUCCESSIVO AL REATO
La Cassazione con la sentenza n. 23158 del 31/10/2014 ha affermato che <attesa la sua duplice funzione pubblicistica di sanzione del reato e di tutela patrimoniale della vittima di esso, l'inefficacia comminata dall'art. 192 del codice penale per gli atti di disposizione a titolo gratuito compiuti dopo la commissione del reato - inefficacia che presuppone un reato, un danneggiato dal reato ed un colpevole, ma non necessariamente un condannato - colpisce anche quelli posti inessere da chi abbia patteggiato la pena e può essere fatta valere pure dinanzi al giudice civile, prevalendo la equiparazione della sentenza di patteggiamento ad una sentenza di condanna e benchè essa non abbia, ad alcun altro effetto, efficacia diretta nei giudizi civili>
martedì 11 novembre 2014
LA SERVITU' DI PARCHEGGIO NON E' CONFIGURABILE
Così la Corte di Cassazione - II^ Sezione - con la sentenza 23708 del 06/11/2014.
Per la Suprema Corte il parcheggio di autovettura costituisce manifestazione di un possesso a titolo di proprietà del suolo, non anche estrinsecazione di un potere di fatto riconducibile al contenuto di un diritto di servitù, del quale difetta la REALITAS intesa come inerenza al fondo dominante dell'utilità, così come al fondo servente il peso. La mera COMMODITAS di parcheggiare l'auto per specifiche persone che accedono al fondo, anche se numericamente limitate, non può in alcun modo integrare gli estremi dell'utilità inerente al fondo stesso, risolvendosi, viceversa in un vantaggio personale dei proprietari.
Nel caso di specie la Corte di Cassazione ha ritenuto che il contratto a favore di terzo contenuto nell'atto di compravendita o comunque il riconoscimento di una sussistente servitù di parcheggio deve considerarsi NULLO per impossibiltà dell'oggetto, nullità peraltro che può essere dedotta per la prima volta anche in sede di legittimità ai sensi dell'art. 1421 cc.
lunedì 20 ottobre 2014
Per la CORTE COSTITUZIONALE è arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito
Qui di seguito parte della sentenza della Corte Costituzionale (228/2014):
*La norma sottoposta alla questione di legittimità costituzionale*
<Con ordinanza del 10 giugno 2013 la Commissione tributaria regionale per il Lazio ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dall’art. 1, comma 402, lettera a), numero 1), della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005).
La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dall’art. 1, comma 402, lettera a), numero 1), della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), limitatamente alle parole «o compensi» per i seguenti motivi:
<Nel merito la questione è fondata in riferimento alle censure di cui agli artt. 3 e 53 Cost., con conseguente assorbimento di quelle relative agli artt. 24 e 111 Cost.
*La norma sottoposta alla questione di legittimità costituzionale*
<Con ordinanza del 10 giugno 2013 la Commissione tributaria regionale per il Lazio ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dall’art. 1, comma 402, lettera a), numero 1), della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005).
La norma dispone che i dati ed elementi trasmessi su
richiesta (ex art. 32, comma 1, numero 7, del d.P.R. n. 600 del 1973),
rilevati direttamente (ex art. 33, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 600 del
1973) ovvero nei controlli relativi alle imposte sulla produzione o
consumo [ex art. 18, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 26
ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative
concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative
sanzioni penali e amministrative)] sono posti a base delle rettifiche e
degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 del medesimo
d.P.R. n. 600 del 1973, salvo che il contribuente dimostri che ne ha
tenuto conto nella determinazione dei redditi o che essi non hanno
rilevanza a tal fine. Prevede, poi, che i prelevamenti o gli importi
riscossi nell’ambito delle predette operazioni sono posti come ricavi o
compensi a base delle rettifiche e degli accertamenti (e sono quindi
assoggettabili a tassazione), se il contribuente non ne indica i
soggetti beneficiari e sempreché non risultino dalle scritture
contabili.
La presunzione disciplinata da tale ultima parte della
norma nella sua originaria formulazione (limitata ai «ricavi»)
interessava unicamente gli imprenditori, l’art. 1 della legge n. 311 del
2004 (inserendo anche i «compensi») ne ha poi esteso l’ambito operativo
ai lavoratori autonomi.>La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dall’art. 1, comma 402, lettera a), numero 1), della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), limitatamente alle parole «o compensi» per i seguenti motivi:
<Nel merito la questione è fondata in riferimento alle censure di cui agli artt. 3 e 53 Cost., con conseguente assorbimento di quelle relative agli artt. 24 e 111 Cost.
4.– Anche se le figure dell’imprenditore e del
lavoratore autonomo sono per molti versi affini nel diritto interno come
nel diritto comunitario, esistono specificità di quest’ultima categoria
che inducono a ritenere arbitraria l’omogeneità di trattamento prevista
dalla disposizione censurata, alla cui stregua anche per essa il
prelevamento dal conto bancario corrisponderebbe ad un costo a sua volta
produttivo di un ricavo.
Secondo tale doppia correlazione, in assenza di
giustificazione deve ritenersi che la somma prelevata sia stata
utilizzata per l’acquisizione, non contabilizzata o non fatturata, di
fattori produttivi e che tali fattori abbiano prodotto beni o servizi
venduti a loro volta senza essere contabilizzati o fatturati.
Il fondamento economico-contabile di tale meccanismo è
stato ritenuto da questa Corte (sentenza n. 225 del 2005) congruente con
il fisiologico andamento dell’attività imprenditoriale, il quale è
caratterizzato dalla necessità di continui investimenti in beni e
servizi in vista di futuri ricavi.
L’attività svolta dai lavoratori autonomi, al contrario,
si caratterizza per la preminenza dell’apporto del lavoro proprio e la
marginalità dell’apparato organizzativo. Tale marginalità assume poi
differenti gradazioni a seconda della tipologia di lavoratori autonomi,
sino a divenire quasi assenza nei casi in cui è più accentuata la natura
intellettuale dell’attività svolta, come per le professioni liberali.
4.1.– Si aggiunga che la non ragionevolezza della
presunzione è avvalorata dal fatto che gli eventuali prelevamenti (che
peraltro dovrebbero essere anomali rispetto al tenore di vita secondo
gli indirizzi dell’Agenzia delle entrate) vengono ad inserirsi in un
sistema di contabilità semplificata di cui generalmente e legittimamente
si avvale la categoria; assetto contabile da cui deriva la fisiologica
promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali.
4.2.– Peraltro, l’esigenza di combattere un’evasione
fiscale ritenuta rilevante nel settore trova una risposta nella recente
produzione normativa sulla tracciabilità dei movimenti finanziari. ... omissis ...
La tracciabilità del danaro, oltre ad essere uno
strumento di lotta al riciclaggio di capitali di provenienza illecita,
persegue il dichiarato fine di contrastare l’evasione o l’elusione
fiscale attraverso la limitazione dei pagamenti effettuati in contanti
che si possono prestare ad operazioni “in nero”.
5.– Pertanto nel caso di specie la presunzione è lesiva
del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva,
essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti
correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad
un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che
questo a sua volta sia produttivo di un reddito.>
venerdì 17 ottobre 2014
IVA COMUNITARIA - ecco i criteri per individuare una STABILE ORGANIZZAZIONE
Così la Corte di Giustiza con la sentenza 16ottobre 2014 nella causa C-605/12:
<Un primo soggetto passivo con sede della propria attività economica in uno Stato membro, che benefici di servizi forniti da un secondo soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro, dev’essere considerato titolare, in quest’altro Stato membro, di una «stabile organizzazione», ai sensi dell’articolo 44 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2008/8/CE del Consiglio del 12 febbraio 2008, ai fini dell’accertamento del luogo di imposizione dei servizi stessi, qualora tale organizzazione sia caratterizzata da un sufficiente grado di permanenza e da una struttura idonea, in termini di risorse umane e tecniche, che le consenta di ricevere le prestazioni di servizi e di utilizzarle ai fini della propria attività economica, cosa che spetta al giudice del rinvio verificare.>
<Un primo soggetto passivo con sede della propria attività economica in uno Stato membro, che benefici di servizi forniti da un secondo soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro, dev’essere considerato titolare, in quest’altro Stato membro, di una «stabile organizzazione», ai sensi dell’articolo 44 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2008/8/CE del Consiglio del 12 febbraio 2008, ai fini dell’accertamento del luogo di imposizione dei servizi stessi, qualora tale organizzazione sia caratterizzata da un sufficiente grado di permanenza e da una struttura idonea, in termini di risorse umane e tecniche, che le consenta di ricevere le prestazioni di servizi e di utilizzarle ai fini della propria attività economica, cosa che spetta al giudice del rinvio verificare.>
lunedì 29 settembre 2014
Le SEZIONI UNITE e l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti
Ecco il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 19881/2014 in merito al vizio di motivazione censurabile:
" a) La riformulazione dell'art. 360,
n. 5), cod. proc. civ., disposta con l'art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n.
83, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134,
secondo cui è deducibile esclusivamente l'<<omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le
parti>>, deve essere interpretata, alla luce dei canoni
ermeneutici dettati dall'art. 12 disp. prel. cod. civ., come
riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in
sede di giudizio di legittimità, per cui l'anomalia motivazionale
denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in
violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all'esistenza
della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e
prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si
esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di
"sufficienza", nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto
materiale e grafico" , nella "motivazione apparente", nel "contrasto
irriducibile fra affermazioni inconciliabili", nella "motivazione
perplessa ed obiettivamente incomprensibile".
b) Il nuovo testo del n. 5)
dell'art. dell'art. 360 cod. proc. civ. introduce nell'ordinamento un
vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico,
principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della
sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se
esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
c) L'omesso esame di elementi
istruttori non integra di per se vizio di omesso esame di un fatto
decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque
preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato
conto di tutte le risultanze probatorie.
d) La parte ricorrente dovrà
indicare -nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366,
primo comma, n. 6, cod. proc. civ. e 369, secondo comma, n. 4, cod.
proc. civ.- il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il
"dato", testuale o extratestuale, da cui ne risulti l'esistenza, il
"come" e il "quando" (nel quadro processuale) tale fatto sia stato
oggetto di discussione tra le parti, e la "decisività" del fatto
stesso".
giovedì 11 settembre 2014
LA CASSAZIONE RINVIA ALLA CORTE COSTITUZIONALE LA Q.L.C. SULLA MANCATA PREVISIONE DI CONTROLLI PERIODICI DEGLI AUTOVELOX
Con l'ordinanza interlocutoria 17766 depositata il 07/08/2014 la Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione ha sollevato d’ufficio la questione di illegittimità costituzionale per irragionevolezza dell’art. 45 cod. strada, nella parte in cui non prevede che le apparecchiature di accertamento della violazione dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e taratura.
venerdì 4 luglio 2014
ANCORA POSSIBILE IL FASCICOLO CARTACEO NEL PROCESSO CIVILE
Il Ministero della Giustizia ha emanato la Circolare 27 giugno 2014 - Adempimenti di cancelleria conseguenti all'entrata in vigore degli obblighi di cui agli artt. 16 bis e sgg. d.l. n.179/2012 e del d.l. n. 90/2014.
Così in punto tenuta fascicolo cartaceo:
<Anche una volta divenuta efficace la disposizione di cui al citato art. 16 bis, può sorgere la necessità per la cancelleria di formare e custodire i fascicoli cartacei secondo le modalità previste dalle vigenti norme di legge e di regolamento.
Se è vero, infatti, che l’art. 9 DM 44/2011 statuisce che “la tenuta e conservazione del fascicolo informatico equivale alla tenuta e conservazione del fascicolo d’ufficio su supporto cartaceo”, la norma stessa fa salvi “gli obblighi di conservazione dei documenti originali unici su supporto cartaceo previsti dal codice dell’amministrazione digitale e dalla disciplina processuale vigente”.
Ciò vale anche per i fascicoli iscritti a ruolo dopo il 30 giugno 2014, posto che, in linea generale, permarrà per le parti l’obbligo di depositare gli atti di costituzione in giudizio e i documenti ad essi allegati in formato cartaceo. Così come rimarrà, per il giudice, la facoltà di depositare in formato cartaceo i propri provvedimenti (ad eccezione di quelli assunti nell’ambito del procedimento monitorio), salvo l’onere della cancelleria di acquisizione di una copia informatica, di cui si dirà infra.
Inoltre, il deposito dell’originale cartaceo di documenti già depositati mediante invio telematico potrà, comunque, rendersi necessario in diverse ipotesi.
Ci si riferisce, in particolare, all’ipotesi di cui all’art. 16 bis, comma 9, d.l. n.179/12, a mente del quale il giudice può ordinare il deposito di copia cartacea di singoli atti e documenti per ragioni specifiche. Va sottolineato, comunque, che, trattandosi, secondo la dizione di legge, di deposito di “copia cartacea di singoli atti e documenti”, esso presuppone il previo deposito mediante invio telematico dell’originale informatico.
Tale atto sarà oggetto di formale attestazione di deposito da parte della cancelleria e sarà inserito nel fascicolo cartaceo del processo.
Si può portare, poi, a titolo di esempio, la necessità di produrre l’originale cartaceo del documento la cui sottoscrizione autografa sia stata oggetto di disconoscimento. In tal caso, fermo restando, per la parte già costituita a mezzo di un difensore, l’obbligo di invio telematico, laddove il giudice dovesse dar corso al subprocedimento di verificazione, la parte verrebbe verosimilmente onerata dallo stesso giudice di produrre l’originale cartaceo. Tale originale cartaceo, depositato in cancelleria, andrebbe necessariamente custodito nel fascicolo precedentemente formato. Simili ipotesi si verificherebbero nell’ipotesi di disconoscimento della conformità all’originale della copia di un documento, ovvero di proposizione di querela di falso sullo stesso. Si vedrà, nel prosieguo, anche l’ipotesi del verbale di conciliazione.
L’elencazione appena fatta non è, ovviamente, esaustiva degli atti e documenti che potrebbero necessitare di deposito cartaceo.>
Per la consultazione delle circolare premi qua sopra
Così in punto tenuta fascicolo cartaceo:
<Anche una volta divenuta efficace la disposizione di cui al citato art. 16 bis, può sorgere la necessità per la cancelleria di formare e custodire i fascicoli cartacei secondo le modalità previste dalle vigenti norme di legge e di regolamento.
Se è vero, infatti, che l’art. 9 DM 44/2011 statuisce che “la tenuta e conservazione del fascicolo informatico equivale alla tenuta e conservazione del fascicolo d’ufficio su supporto cartaceo”, la norma stessa fa salvi “gli obblighi di conservazione dei documenti originali unici su supporto cartaceo previsti dal codice dell’amministrazione digitale e dalla disciplina processuale vigente”.
Ciò vale anche per i fascicoli iscritti a ruolo dopo il 30 giugno 2014, posto che, in linea generale, permarrà per le parti l’obbligo di depositare gli atti di costituzione in giudizio e i documenti ad essi allegati in formato cartaceo. Così come rimarrà, per il giudice, la facoltà di depositare in formato cartaceo i propri provvedimenti (ad eccezione di quelli assunti nell’ambito del procedimento monitorio), salvo l’onere della cancelleria di acquisizione di una copia informatica, di cui si dirà infra.
Inoltre, il deposito dell’originale cartaceo di documenti già depositati mediante invio telematico potrà, comunque, rendersi necessario in diverse ipotesi.
Ci si riferisce, in particolare, all’ipotesi di cui all’art. 16 bis, comma 9, d.l. n.179/12, a mente del quale il giudice può ordinare il deposito di copia cartacea di singoli atti e documenti per ragioni specifiche. Va sottolineato, comunque, che, trattandosi, secondo la dizione di legge, di deposito di “copia cartacea di singoli atti e documenti”, esso presuppone il previo deposito mediante invio telematico dell’originale informatico.
Tale atto sarà oggetto di formale attestazione di deposito da parte della cancelleria e sarà inserito nel fascicolo cartaceo del processo.
Si può portare, poi, a titolo di esempio, la necessità di produrre l’originale cartaceo del documento la cui sottoscrizione autografa sia stata oggetto di disconoscimento. In tal caso, fermo restando, per la parte già costituita a mezzo di un difensore, l’obbligo di invio telematico, laddove il giudice dovesse dar corso al subprocedimento di verificazione, la parte verrebbe verosimilmente onerata dallo stesso giudice di produrre l’originale cartaceo. Tale originale cartaceo, depositato in cancelleria, andrebbe necessariamente custodito nel fascicolo precedentemente formato. Simili ipotesi si verificherebbero nell’ipotesi di disconoscimento della conformità all’originale della copia di un documento, ovvero di proposizione di querela di falso sullo stesso. Si vedrà, nel prosieguo, anche l’ipotesi del verbale di conciliazione.
L’elencazione appena fatta non è, ovviamente, esaustiva degli atti e documenti che potrebbero necessitare di deposito cartaceo.>
Per la consultazione delle circolare premi qua sopra
LA VALUTAZIONE DELLE PROVE ORALI NEL PROCESSO PENALE - CASS. PEN. Sez VI 27185/2014
Ecco quanto affermato da Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 27-03-2014) 23-06-2014, n. 27185 in punto valutazione testimonianza:
<Al riguardo, invero, deve ribadirsi il
principio, costantemente affermato da questa Suprema Corte, secondo
cui, esclusa la necessità che la testimonianza debba essere
corroborata dai cosiddetti "elementi di riscontro" richiesti
invece per le dichiarazioni accusatorie provenienti dai soggetti
indicati nel comma terzo dell'art. 192 c.p.p.,
il giudice deve limitarsi a verificare l'intrinseca
attendibilità della testimonianza stessa, partendo però dal
presupposto che, fino a prova contraria, il teste riferisce fatti
obiettivamente veri, o da lui ragionevolmente ritenuti tali.
Sotto
altro, ma connesso profilo, l'espressione "fino a prova
contraria" non significa che la deposizione testimoniale non possa
essere disattesa se non quando risulti positivamente dimostrato il
mendacio, ovvero il vizio di percezione o di ricordo del teste, ma
solo che devono esistere elementi positivi atti a rendere
obiettivamente plausibile l'una o l'altra di dette ipotesi (Sez. 1,
n. 7568 del 02/06/1993, dep. 03/08/1993, Rv. 194774).
Ne
discende, inoltre, che le dichiarazioni di un testimone (anche se si
tratti della persona offesa), per essere positivamente utilizzate dal
giudice, devono risultare credibili, oltrechè avere ad oggetto fatti
di diretta cognizione e specificamente indicati, con il logico
corollario che, contrariamente ad altre fonti di conoscenza, come le
dichiarazioni rese da coimputati o da imputati in reati connessi,
esse non abbisognano di riscontri esterni, il ricorso eventuale ai
quali è funzionale soltanto al vaglio di credibilità del testimone
(Sez. 3, n. 11829 del 26/08/1999, dep. 15/10/1999, Rv. 215247).>
giovedì 26 giugno 2014
DAL 25 GIUGNO 2014 NUOVO AUMENTO DEL CONTRIBUTO UNIFICATO
Questi i nuovi valori per il contributo unificato introdotti dall'art. 53 DL 90/2014
Art. 53 (Norma di copertura finanziaria) 1. Alla copertura delle minori entrate derivanti dall'attuazione delle disposizioni del presente capo, valutate in 18 milioni di euro per l'anno 2014 e 52,53 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015, di cui 3 milioni di euro per l'armo 2014 e 10 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015 per l'attuazione dell'articolo 46, comma 1, lettera d), 15 milioni di euro per l'anno 2014 e 42,53 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015 per l'attuazione dell'articolo 52, comma 2, lettere a), b) e c), si provvede con le maggiori entrate derivanti dall'aumento del contributo unificato di cui all'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, al quale sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 13, comma 1, alla lettera a) le parole: «euro 37» sono sostituite dalle seguenti: «euro 43»; b) all'articolo 13, comma 1, alla lettera b) le parole: «euro 85» sono sostituite dalle seguenti: «euro 98»; c) all'articolo 13. comma 1, alla lettera c) le parole: «euro 206» sono sostituite dalle seguenti: «euro 237 »; d) all'articolo 13, comma 1, alla lettera d) le parole: «euro 450» sono sostituite dalle seguenti: «euro 518 »; e) all'articolo 13, comma 1, alla lettera e) le parole: «euro 660» sono sostituite dalle seguenti: «euro 759»; f) all'articolo 13; comma 1, alla lettera f) le parole: «euro 1.056» sono sostituite dalle seguenti: «euro 1.214»; g) all'articolo 13, comma 1, alla lettera g) le parole: «euro 1.466» sono sostituite dalle seguenti: «euro 1.686»; h) all'articolo 13, il comma 2 e' sostituito dal. seguente: «2. Per i processi di esecuzione immobiliare il contributo dovuto e' pari a euro 278. Per gli altri processi esecutivi lo stesso importo e' ridotto della meta'. Per i processi esecutivi mobiliari di valore inferiore a 2.500 euro il contributo dovuto e' pari a euro 43. Per i processi di opposizione agli atti esecutivi il contributo dovuto e' pari a euro 168.»; i) all'articolo 13, comma 5, le parole: «euro 740» sono sostituite dalle seguenti: «euro 851». 2. Ai sensi dell'articolo 17, comma 12, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il Ministro della giustizia provvede al monitoraggio delle minori entrate di cui alla presente legge e riferisce in merito al Ministro dell'economia e delle finanze. Nel caso si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di cui al comma 1 del presente articolo, il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro della giustizia provvede, con proprio decreto, all'aumento del contributo unificato di cui al medesimo comma 1, nella misura necessaria alla copertura finanziaria delle minori entrate risultanti dall'attivita' di monitoraggio. 3. Il Ministro dell'economia e delle finanze riferisce senza ritardo alle Camere con apposita relazione in merito alle cause degli scostamenti ed alla adozione delle misure di cui al secondo periodo. 4. Il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
I POTERI DI AUTENTICA DEI DIFENSORI NEL PROCESSO TELEMATICO
Ecco l'art. 52 del DL 90/2014 in vigore dal 25 GIUGNO 2014
Art. 52 (Poteri di autentica dei difensori e degli ausiliari del giudice) 1. Al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 16-bis dopo il comma 9 e' aggiunto, in fine, il seguente: « 9-bis. Le copie informatiche, anche per immagine, di atti processuali di parte e degli ausiliari del giudice nonche' dei provvedimenti di quest'ultimo, presenti nei fascicoli informatici dei procedimenti indicati nel presente articolo, equivalgono all'originale anche se prive della firma digitale del cancelliere. Il difensore, il consulente tecnico, il professionista delegato, il curatore ed il commissario giudiziale possono estrarre con modalita' telematiche duplicati, copie analogiche o informatiche degli atti e dei provvedimenti di cui al periodo precedente ed attestare la conformita' delle copie estratte ai corrispondenti atti contenuti nel fascicolo informatico. Le copie analogiche ed informatiche, anche per immagine, estratte dal fascicolo informatico e munite dell'attestazione di conformita' a norma del presente comma, equivalgono all'originale. Per i duplicati rimane fermo quanto previsto dall'articolo 23-bis, comma 1, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82: Le disposizioni .di cui al presente comma non si applicano agli atti processuali che contengono provvedimenti giudiziali che autorizzano il prelievo di somme di denaro vincolate all'ordine del giudice.»; b) dopo l'articolo 16-quinquies e' inserito il seguente: " ART. 16-sexies (Domicilio digitale) 1. Salvo quanto previsto dall'articolo 366 del codice di procedura civile, quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalita' puo' procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l'indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all'articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonche' dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia.». 2. Al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 40, dopo il comma 1-ter sono aggiunti i seguenti: « 1-quater. Il diritto di copia senza certificazione di conformita' non e' dovuto quando la copia e' estratta dal fascicolo informatico dai soggetti abilitati ad accedervi. 1-quinquies. Il diritto di copia autentica non e' dovuto nei casi previsti dall'articolo 16-bis, comma 9-bis, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.»; b) all'articolo 268, dopo il comma 1 e' aggiunto il seguente: « 1-bis. Il diritto di copia autentica non e' dovuto nei casi previsti dall'articolo 16-bis, comma 9-bis, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.»; c) all'articolo 269, il comma 1-bis e' sostituito dal seguente: « 1-bis. Il diritto di copia senza certificazione di conformita' non e' dovuto quando la copia e' estratta dal fascicolo informatico dai soggetti abilitati ad accedervi.»
martedì 10 giugno 2014
Alle Sezioni Unite il nuovo istituto della RESCISSIONE DEL GIUDICATO
Il 17 luglio 2014 le Sezioni Unite della Cassazione sono chiamate a decidere:
<Se, ed entro che limiti, l’istituto della “rescissione del giudicato”, previsto dall’art. 625 ter cod. proc. pen., introdotto dall’art. 11 comma 5 della legge 28 aprile 2014, n. 67, sia applicabile ai soggetti condannati in processi definiti con sentenza irrevocabile prima dell’entrata in vigore della legge indicata.>
<Se, ed entro che limiti, l’istituto della “rescissione del giudicato”, previsto dall’art. 625 ter cod. proc. pen., introdotto dall’art. 11 comma 5 della legge 28 aprile 2014, n. 67, sia applicabile ai soggetti condannati in processi definiti con sentenza irrevocabile prima dell’entrata in vigore della legge indicata.>
mercoledì 9 aprile 2014
Legittimo il ricorso per cassazione avverso l'ordinanza di inammissibilità dell'appello quando questa è, in senso sostanziale, una sentenza.
È ricorribile per cassazione l’ordinanza d’inammissibilità dell’appello
pronunciata, ai sensi degli artt. 348 bis e 348 ter cod. proc. civ., non
per la manifesta infondatezza di merito del gravame, ma per un
impedimento di rito (nella specie, genericità dell’impugnazione), tale
ordinanza essendo, in senso sostanziale, una sentenza.
Ordinanza 27 marzo 2014 n. 7273
(Sezione Sesta Civile, Presidente S. Petitti, Relatore A. Giusti)
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Ordinanza 27 marzo 2014 n. 7273
(Sezione Sesta Civile, Presidente S. Petitti, Relatore A. Giusti)
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venerdì 14 marzo 2014
Sull'ABUSO DEL DIRITTO in campo doganale la Corte di Cassazione investe la Corte di Giustizia: il giudice nazionale ha l'obbligo di adottare, tra diverse possibili letture di una norma interna, quella maggiormente aderente al diritto comunitario.
Con l'ordinanza 5808 del 13 marzo 2014 la Corte di Cassazione a norma dell’art. 267 del Trattato di funzionamento
dell’Unione Europea, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione la
pronuncia sulla questione pregiudiziale concernente l’interpretazione
dei regolamenti CE n. 1047/2001, del 30 maggio 2001 e n. 2988/95 del
Consiglio, del 18 dicembre 1995.
Chiede dunque la Suprema Corte "se sia vietato, e configura un abuso del diritto ed un comportamento elusivo, la condotta dell’operatore commerciale comunitario (A), il quale, non disponendo di un titolo d’importazione o avendo esaurito la propria quota di contingente, acquisti determinate partite di merce da altro operatore comunitario (B), il quale, a sua volta, le ha acquistate dal fornitore extracomunitario, cedute allo stato estero ad altro operatore comunitario (C) che, possedendone i requisiti, ha ottenuto un titolo nell’ambito del contingente e, senza trasferire il proprio titolo, le ha immesse in libera pratica della Comunità europea per cederle, una volta sdoganate ed a fronte di un’adeguata remunerazione, inferiore a quella del dazio specifico per impostazioni fuori contingente, al medesimo operatore (B) che le vende, infine, all’operatore (A)... ".
Interessante la tecnica redazionale delle motivazioni che ricalca lo schema delle decisioni della Corte di Giustizia riportanto dapprima il contesto normativo nazionale (art. 1344 cc e art. 37 bis DPR 600/1973), poi le disposizioni di diritto dell'Unione Europea e i motivi del rinvio pregiudiziale: "La fattispecie relativa all'abuso del diritto di cui alla norma nazionale sopra riportata al punto 2 (art. 37 bis DPR 600/73) è operante, sulla base della giurisprudenza della Corte di Giustizia, anche nel campo del diritto doganale nel senso che non possono trarsi benefici da operazioni a carattere elusivo intraprese al solo scopo di procurarsi agevolazioni.
Il rinvio pregiudiziale alla Corte è necessario in quanto, alla luce delle norme comunitarie sopra richiamate, il giudice deve stabilire se il comportamento della società ricorrente costituisca o meno atto elusivo posto in essere in violazione delle disposizioni dei regolamenti comunitari sopra menzionati 2988/1995 e 1047/2001."
La Corte di Cassazione nell'ordinanza in oggetto motiva il rinvio pregiudiziale "tenuto conto, altresì, del principio secondo il quale il giudice nazionale ha l'obbligo di adottare, tra diverse possibili letture di una norma interna, quella maggiormente aderente al diritto comunitario: Cass. nn. 7210 del 2002, 5559 del 2005".
Chiede dunque la Suprema Corte "se sia vietato, e configura un abuso del diritto ed un comportamento elusivo, la condotta dell’operatore commerciale comunitario (A), il quale, non disponendo di un titolo d’importazione o avendo esaurito la propria quota di contingente, acquisti determinate partite di merce da altro operatore comunitario (B), il quale, a sua volta, le ha acquistate dal fornitore extracomunitario, cedute allo stato estero ad altro operatore comunitario (C) che, possedendone i requisiti, ha ottenuto un titolo nell’ambito del contingente e, senza trasferire il proprio titolo, le ha immesse in libera pratica della Comunità europea per cederle, una volta sdoganate ed a fronte di un’adeguata remunerazione, inferiore a quella del dazio specifico per impostazioni fuori contingente, al medesimo operatore (B) che le vende, infine, all’operatore (A)... ".
Interessante la tecnica redazionale delle motivazioni che ricalca lo schema delle decisioni della Corte di Giustizia riportanto dapprima il contesto normativo nazionale (art. 1344 cc e art. 37 bis DPR 600/1973), poi le disposizioni di diritto dell'Unione Europea e i motivi del rinvio pregiudiziale: "La fattispecie relativa all'abuso del diritto di cui alla norma nazionale sopra riportata al punto 2 (art. 37 bis DPR 600/73) è operante, sulla base della giurisprudenza della Corte di Giustizia, anche nel campo del diritto doganale nel senso che non possono trarsi benefici da operazioni a carattere elusivo intraprese al solo scopo di procurarsi agevolazioni.
Il rinvio pregiudiziale alla Corte è necessario in quanto, alla luce delle norme comunitarie sopra richiamate, il giudice deve stabilire se il comportamento della società ricorrente costituisca o meno atto elusivo posto in essere in violazione delle disposizioni dei regolamenti comunitari sopra menzionati 2988/1995 e 1047/2001."
La Corte di Cassazione nell'ordinanza in oggetto motiva il rinvio pregiudiziale "tenuto conto, altresì, del principio secondo il quale il giudice nazionale ha l'obbligo di adottare, tra diverse possibili letture di una norma interna, quella maggiormente aderente al diritto comunitario: Cass. nn. 7210 del 2002, 5559 del 2005".
venerdì 7 marzo 2014
Per la Corte di Giustizia è inammissibile che norme di diritto nazionale possano menomare l'unità e l'efficacia del diritto dell'Unione
Ecco le linee guida per i giudici nazionali sulla applicazione dell'art. 267 TFUE.
- Stralcio sentenza causa C-416/10 Corte di Giustizia -
<64 Per quanto
riguarda gli altri aspetti della prima questione pregiudiziale, secondo
una giurisprudenza consolidata, l’articolo 267 TFUE conferisce ai
giudici nazionali la più ampia facoltà di adire la Corte qualora essi
ritengano che una causa dinanzi ad essi pendente faccia sorgere
questioni che richiedono un’interpretazione o un esame della validità
delle disposizioni del diritto dell’Unione essenziali ai fini della
soluzione della lite di cui sono investiti (sentenze del 27 giugno 1991,
Mecanarte, C‑348/89, Racc. pag. I‑3277, punto 44, e del 5 ottobre 2010,
Elchinov, C‑173/09, Racc. pag. I‑8889, punto 26).
65 L’articolo
267 TFUE conferisce dunque ai giudici nazionali la facoltà – ed
eventualmente impone loro l’obbligo – di effettuare un rinvio
pregiudiziale qualora essi constatino, d’ufficio o su domanda di parte,
che il merito della controversia implica la soluzione di una questione
ricadente sotto le previsioni del primo comma dell’articolo sopra citato
(sentenze del 10 luglio 1997, Palmisani, C‑261/95, Racc. pag. I‑4025,
punto 20, e del 21 luglio 2011, Kelly, C‑104/10, non ancora pubblicata
nella Raccolta, punto 61). Per tale motivo, il fatto che le parti del
giudizio a quo non abbiano prospettato, dinanzi al giudice del rinvio,
una problematica attinente al diritto dell’Unione non osta a che la
Corte possa essere adita da detto giudice (sentenze del 16 giugno 1981,
Salonia, 126/80, Racc. pag. 1563, punto 7, e dell’8 marzo 2012, Huet,
C‑251/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 23).
66 Infatti,
il rinvio pregiudiziale si fonda su un dialogo tra giudici, il cui
avvio dipende interamente dalla valutazione operata dal giudice
nazionale in merito alla rilevanza e alla necessità del rinvio stesso
(sentenze del 16 dicembre 2008, Cartesio, C‑210/06, Racc. pag. I‑9641,
punto 91, e del 9 novembre 2010, VB Pénzügyi Lízing, C‑137/08,
Racc. pag. I‑10847, punto 29).
67 Inoltre,
l’esistenza di una norma procedurale nazionale non può rimettere in
discussione la facoltà, spettante ai giudici nazionali, di investire la
Corte di una domanda di pronuncia pregiudiziale qualora essi nutrano
dubbi, come nell’odierno procedimento principale, in merito
all’interpretazione del diritto dell’Unione (sentenze Elchinov, cit.,
punto 25, e del 20 ottobre 2011, Interedil, C‑396/09, non ancora
pubblicata nella Raccolta, punto 35).
68 Pertanto,
una norma di diritto nazionale in virtù della quale le valutazioni
formulate da un organo giurisdizionale superiore vincolano un altro
giudice nazionale non può privare quest’ultimo della facoltà di
sottoporre alla Corte questioni riguardanti l’interpretazione del
diritto dell’Unione interessato da dette valutazioni in diritto.
Infatti, tale giudice, ove ritenga che la valutazione in diritto
compiuta nel grado superiore potrebbe indurlo ad emettere una decisione
contraria al diritto dell’Unione, deve essere libero di sottoporre alla
Corte le questioni costituenti per esso motivo di perplessità (sentenze
del 9 marzo 2010, ERG e a., C‑378/08, Racc. pag. I‑1919, punto 32,
nonché Elchinov, cit., punto 27).
69 In
tale ambito, occorre sottolineare che il giudice nazionale che abbia
esercitato la facoltà conferitagli dall’articolo 267 TFUE è vincolato,
ai fini della soluzione della controversia principale,
dall’interpretazione delle disposizioni in questione fornita dalla Corte
e deve eventualmente discostarsi dalle valutazioni dell’organo
giurisdizionale di grado superiore qualora ritenga, alla luce di detta
interpretazione, che queste ultime non siano conformi al diritto
dell’Unione (sentenza Elchinov, cit., punto 30).
70 I
principi enunciati ai punti precedenti si impongono in egual maniera
nei confronti del giudice del rinvio per quanto riguarda la valutazione
in diritto espressa, nella presente fattispecie, dal giudice
costituzionale dello Stato membro di cui trattasi, dal momento che,
secondo una giurisprudenza consolidata, è inammissibile che norme di
diritto nazionale, quand’anche di rango costituzionale, possano menomare
l’unità e l’efficacia del diritto dell’Unione (sentenze del 17 dicembre
1970, Internationale Handelsgesellschaft, 11/70, Racc. pag. 1125, punto
3, e dell’8 settembre 2010, Winner Wetten, C‑409/06, Racc. pag. I‑8015,
punto 61). La Corte ha d’altronde già precisato che i suddetti principi
si applicano nei rapporti tra un giudice costituzionale e qualsiasi
altro giudice nazionale (sentenza del 22 giugno 2010, Melki e Abdeli,
C‑188/10 e C‑189/10, Racc. pag. I‑5667, punti 41‑45)>
L'onere di allegazione in Cassazione in ordine alla inosservanza delle disposizioni CEDU - Istruzioni per l'uso
<Nel ricorso per cassazione per violazione di legge, la parte che deduce
l’inosservanza in proprio danno delle disposizioni della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo (nella specie, gli artt. 6 e 14), ha
l’onere di indicare la regola desumibile dalla Convenzione o dalla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in casi
analoghi e di allegare in che modo il giudice di merito si sia
discostato dai parametri della Convenzione, indicando gli elementi
concreti di analogia tra il proprio caso e gli altri nei quali in sede
europea siano stati applicati i parametri più adeguati e comunque più
favorevoli che invoca.>
Così la Corte di Cassazione Sezione Lavoro con la sentenza n. 76 del 7 gennaio 2014.
questo il link temporaneo dove reperire il testo della sentenza
Così la Corte di Cassazione Sezione Lavoro con la sentenza n. 76 del 7 gennaio 2014.
questo il link temporaneo dove reperire il testo della sentenza
mercoledì 5 marzo 2014
mercoledì 19 febbraio 2014
Nei confronti delle sentenze del Consiglio di Stato, il controllo del rispetto del limite esterno della giurisdizione che la Costituzione affida alla Corte di cassazione NON INCLUDE la funzione di finale verifica della conformità di quelle decisioni al diritto dell'Unione europea
Così in buona sostanza ha affermato la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 2403/2014.
Si legge infatti che <La tesi, prospettata dal ricorrente, di una funzione di nomofilachia della Corte di cassazione estesa fino a comprendere l'esercizio di un sindacato sull'osservanza, da parte del giudice amministrativo, della giurisprudenza della Corte di giustizia o dell'obbligo di rinvio pregiudiziale, non tiene conto della circostanza che - fermo il compito affidato dalla Costituzione alle Sezioni Unite della Cassazione di verificare il mantenimento delle varie giurisdizioni speciali, compreso il Consiglio di Stato, nei limiti dei loro poteri e delle loro competenze - nel plesso della giurisdizione amministrativa spetta al Consiglio di Stato, alle sue sezioni e all'adunanza plenaria, quale giudice di ultima istanza ai sensi dell'art. 267, comma 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (ex art. 234 TCE), garantire, nello specifico ordinamento di settore, la compatibilità del diritto interno a quello dell'Unione, anche e soprattutto attraverso l'operazione interpretativa del diritto eurounitario, originario e derivato, svolta dalla Corte di giustizia, all'uopo sollecitata, se del caso, mediante il meccanismo della questione pregiudiziale, e così contribuire alla formazione dello jus commune europaeum.>
Si legge infatti che <La tesi, prospettata dal ricorrente, di una funzione di nomofilachia della Corte di cassazione estesa fino a comprendere l'esercizio di un sindacato sull'osservanza, da parte del giudice amministrativo, della giurisprudenza della Corte di giustizia o dell'obbligo di rinvio pregiudiziale, non tiene conto della circostanza che - fermo il compito affidato dalla Costituzione alle Sezioni Unite della Cassazione di verificare il mantenimento delle varie giurisdizioni speciali, compreso il Consiglio di Stato, nei limiti dei loro poteri e delle loro competenze - nel plesso della giurisdizione amministrativa spetta al Consiglio di Stato, alle sue sezioni e all'adunanza plenaria, quale giudice di ultima istanza ai sensi dell'art. 267, comma 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (ex art. 234 TCE), garantire, nello specifico ordinamento di settore, la compatibilità del diritto interno a quello dell'Unione, anche e soprattutto attraverso l'operazione interpretativa del diritto eurounitario, originario e derivato, svolta dalla Corte di giustizia, all'uopo sollecitata, se del caso, mediante il meccanismo della questione pregiudiziale, e così contribuire alla formazione dello jus commune europaeum.>
Ciò posto la Cassazione ha osservato che <Certo, può accadere che la decisione del giudice
amministrativo di ultima istanza contenga una violazione del
diritto comunitario in pregiudizio di situazioni giuridiche
soggettive protette dal diritto dell'Unione.
Ma
il principio di effettività della tutela in presenza di danni
causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario imputabili
al giudice amministrativo di ultima istanza non impone nè di
riaprire quella controversia ormai definitivamente giudicata negli
aspetti di merito nè di attribuire alla parte soccombente un nuovo
grado di impugnazione dinanzi al giudice regolatore della
giurisdizione al fine di rimediare ad un errore che, pur
"sufficientemente caratterizzato", non si traduca in uno
sconfinamento dai limiti della giurisdizione devoluta al giudice
amministrativo. L'ordinamento conosce infatti, là dove la violazione
del diritto comunitario sia grave e manifesta, altri strumenti di
tutela, secondo una logica di compensazione solidaristica (cfr. Corte
di giustizia, sentenza 30 settembre 2003, nel procedimento C-224/01,
Kobler e Repubblica d'Austria; Corte di giustizia, sentenza 13 giugno
2006, nel procedimento C-173/03, Traghetti del Mediterraneo s.p.a.,
in liquidazione, contro Repubblica italiana; Corte di giustizia,
sentenza 24 novembre 2011, nella causa C-379/10, Commissione europea
contro Repubblica italiana)>
martedì 11 febbraio 2014
non esiste un principio generale per il quale non possa essere fatto valere in via di azione ciò che non possa essere fatto valere in altro processo in via di eccezione per effetto di preclusioni processuali
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 26858/2013 ha affermato come in via generale <non esiste un principio generale per il quale non possa essere fatto
valere in via di azione ciò che non possa essere fatto valere in
altro processo in via di eccezione per effetto di preclusioni
processuali>.
Ciò posto ha altresì osservato come <il potere di rilevare fatti impeditivi compete esclusivamente alla parte (e soggiace perciò alle preclusioni previste per le attività di parte) soltanto nei casi in cui la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nel caso di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un'azione costitutiva e non certo nel caso di specie, nel quale è onere dell'attore che agisce in riduzione indicare le donazioni ricevute da imputare alla legittima), ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l'iniziativa di parte, dovendosi in ogni altro caso ritenere la rilevabilità d'ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito (Cass. S.U. 3/2/1998 n. 1099)>.
Nella fattispecie concreta ha dunque concluso che <L'eccezione per la quale l'attrice che agisce in riduzione ha ricevuto donazioni in vita da imputare alla legittima costituisce eccezione in senso lato e come tale il suo rilievo di ufficio non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati "ex actis", in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe vanificato ove anche le questioni rilevabili d'ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto (cfr. Cass. S.U. 7/5/2013 n. 10531 Ord.)>
Ciò posto ha altresì osservato come <il potere di rilevare fatti impeditivi compete esclusivamente alla parte (e soggiace perciò alle preclusioni previste per le attività di parte) soltanto nei casi in cui la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nel caso di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un'azione costitutiva e non certo nel caso di specie, nel quale è onere dell'attore che agisce in riduzione indicare le donazioni ricevute da imputare alla legittima), ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l'iniziativa di parte, dovendosi in ogni altro caso ritenere la rilevabilità d'ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito (Cass. S.U. 3/2/1998 n. 1099)>.
Nella fattispecie concreta ha dunque concluso che <L'eccezione per la quale l'attrice che agisce in riduzione ha ricevuto donazioni in vita da imputare alla legittima costituisce eccezione in senso lato e come tale il suo rilievo di ufficio non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati "ex actis", in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe vanificato ove anche le questioni rilevabili d'ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto (cfr. Cass. S.U. 7/5/2013 n. 10531 Ord.)>
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