mercoledì 19 febbraio 2014

Nei confronti delle sentenze del Consiglio di Stato, il controllo del rispetto del limite esterno della giurisdizione che la Costituzione affida alla Corte di cassazione NON INCLUDE la funzione di finale verifica della conformità di quelle decisioni al diritto dell'Unione europea

Così in buona sostanza ha affermato la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 2403/2014.

Si legge infatti che <La tesi, prospettata dal ricorrente, di una funzione di nomofilachia della Corte di cassazione estesa fino a comprendere l'esercizio di un sindacato sull'osservanza, da parte del giudice amministrativo, della giurisprudenza della Corte di giustizia o dell'obbligo di rinvio pregiudiziale, non tiene conto della circostanza che - fermo il compito affidato dalla Costituzione alle Sezioni Unite della Cassazione di verificare il mantenimento delle varie giurisdizioni speciali, compreso il Consiglio di Stato, nei limiti dei loro poteri e delle loro competenze - nel plesso della giurisdizione amministrativa spetta al Consiglio di Stato, alle sue sezioni e all'adunanza plenaria, quale giudice di ultima istanza ai sensi dell'art. 267, comma 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (ex art. 234 TCE), garantire, nello specifico ordinamento di settore, la compatibilità del diritto interno a quello dell'Unione, anche e soprattutto attraverso l'operazione interpretativa del diritto eurounitario, originario e derivato, svolta dalla Corte di giustizia, all'uopo sollecitata, se del caso, mediante il meccanismo della questione pregiudiziale, e così contribuire alla formazione dello jus commune europaeum.>

Ciò posto la Cassazione ha osservato che <Certo, può accadere che la decisione del giudice amministrativo di ultima istanza contenga una violazione del diritto comunitario in pregiudizio di situazioni giuridiche soggettive protette dal diritto dell'Unione.
Ma il principio di effettività della tutela in presenza di danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario imputabili al giudice amministrativo di ultima istanza non impone di riaprire quella controversia ormai definitivamente giudicata negli aspetti di merito di attribuire alla parte soccombente un nuovo grado di impugnazione dinanzi al giudice regolatore della giurisdizione al fine di rimediare ad un errore che, pur "sufficientemente caratterizzato", non si traduca in uno sconfinamento dai limiti della giurisdizione devoluta al giudice amministrativo. L'ordinamento conosce infatti, là dove la violazione del diritto comunitario sia grave e manifesta, altri strumenti di tutela, secondo una logica di compensazione solidaristica (cfr. Corte di giustizia, sentenza 30 settembre 2003, nel procedimento C-224/01, Kobler e Repubblica d'Austria; Corte di giustizia, sentenza 13 giugno 2006, nel procedimento C-173/03, Traghetti del Mediterraneo s.p.a., in liquidazione, contro Repubblica italiana; Corte di giustizia, sentenza 24 novembre 2011, nella causa C-379/10, Commissione europea contro Repubblica italiana)>

martedì 11 febbraio 2014

non esiste un principio generale per il quale non possa essere fatto valere in via di azione ciò che non possa essere fatto valere in altro processo in via di eccezione per effetto di preclusioni processuali

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 26858/2013 ha affermato come in via generale <non esiste un principio generale per il quale non possa essere fatto valere in via di azione ciò che non possa essere fatto valere in altro processo in via di eccezione per effetto di preclusioni processuali>.

Ciò posto ha altresì osservato come  <il potere di rilevare fatti impeditivi compete esclusivamente alla parte (e soggiace perciò alle preclusioni previste per le attività di parte) soltanto nei casi in cui la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nel caso di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un'azione costitutiva e non certo nel caso di specie, nel quale è onere dell'attore che agisce in riduzione indicare le donazioni ricevute da imputare alla legittima), ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l'iniziativa di parte, dovendosi in ogni altro caso ritenere la rilevabilità d'ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito (Cass. S.U. 3/2/1998 n. 1099)>.

Nella fattispecie concreta ha dunque concluso che <L'eccezione per la quale l'attrice che agisce in riduzione ha ricevuto donazioni in vita da imputare alla legittima costituisce eccezione in senso lato e come tale il suo rilievo di ufficio non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati "ex actis", in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe vanificato ove anche le questioni rilevabili d'ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto (cfr. Cass. S.U. 7/5/2013 n. 10531 Ord.)>