mercoledì 27 novembre 2013

DIFENSORE NEL PROCESSO PENALE E NEL PROCEDIMENTO DI ESECUZIONE DEL MANDATO DI ARRESTO EUROPEO - PUBBLICATA LA DIRETTIVA 2013/48/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO

Sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea del 6 novembre 2013 - L294 è stata pubblicata la Direttiva 2013/48/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2013.
La Direttiva è relativa al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato d'arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari.
La Direttiva è entrata in vigore il 26 novembre 2013 e dovrà essere recepito dagli Stati membri entro il 27 novembre 2016.

per leggere il testo della direttiva clicca qui sopra

giovedì 12 settembre 2013

la revoca con effetto retroattivo di un atto legittimo con il quale sono stati attribuiti dei diritti o analoghi vantaggi, è contraria ai principi giuridici generali

Così la Corte di Giustizia con la sentenza n. 159/82 confermava il principio espresso nella sentenza del 22 marzo 1961 cause 42 e 49/59.

clicca per leggere la sentenza integrale

ILLEGITTIMO L'AVVISO DI ACCERTAMENTO EMESSO PRIMA DELLO SCADERE DEI 60 GIORNI PREVISTO DALL'ART. 12 comma 7 L. 212/2000

Le Sezioni Unite con la sentenza n.18184 del 29 luglio 2013 , risolvendo un contrasto, hanno deciso che l'inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l'emanazione dell'avviso di accertamento, previsto dall'art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, decorrente dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, comporta l'illegittimità dell'atto impositivo emesso ante tempus, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza.

Nella sentenza tra l'altro si legge che a gran parte delle disposizioni contenute nello Statuto del Contribuente (L. 212/2000) va attribuito il ruolo di espressione di principi immanenti nell'ordinamento tributario, già prima dell'entrata in vigore dello Statuto stesso, e quindi di criteri guida per orientare l'interprete nell'esegesi delle norme, anche anteriormente vigenti.

clicca per leggere la sentenza come riportata dal sito della corte di cassazione

giovedì 27 giugno 2013

NELLA SIMULAZIONE RELATIVA L'ALIENANTE NON E' LITISCONSORTE NECESSARIO

Le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 11523 del 14 maggio 2013 hanno affermato il seguente principio di diritto:
<nella simulazione relativa della compravendita per interposizione fittizia dell'acquirente, l'alienante non è litisconsorte necessario, se nei suoi riguardi il negozio è stato integralmente eseguito e manca ogni suo interesse a essere parte nel giudizio>.

La Cassazione infatti ha osservato che <l'accertamento giudiziale e il giudicato hanno la funzione di produrre effetti nella sfera giuridico-patrimoniale delle parti, modificando (o confermando definitivamente) il precedente assetto, ove lo stesso non abbia questa finalità, perchè lascia invariati gli interessi di una parte (in senso formale), non vi è la necessità inderogabile di far partecipare questa parte al processo perchè così operando si finirebbe per attribuire al giudicato un'efficacia erga omnes, di natura meramente dichiarativa, diversa da quella derivante dall'intangibilità così come definita nell'art. 2909 c.c..
Ed è appunto questa la situazione che si verifica con riferimento all'alienante quando il contratto sia stato eseguito e si discuta di simulazione relativa per interposizione fittizia nella persona dell'acquirente.>

lunedì 3 giugno 2013

CONVENZIONE CASSA FORENSE PER L'ASSICURAZIONE PROFESSIONALE - L'AGCM CONTRO UNA UNICA CONVENZIONE

L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha sollevato dubbi in merito alla eventuale stipulazione di una unica convenzione assicurativa con una unica compagnia senza aver posto in essere procedure di evidenza pubblica.

L'Autorità infatti afferma che <al fine di consentire il massimo confronto concorrenziale, la possibilità di stipulare convenzioni dovrebbe essere “aperta” a tutti gli operatori del mercato assicurativo che rispettino le caratteristiche richieste dalla Cassa.>

Clicca per leggere la segnalazione AS1047

giovedì 30 maggio 2013

I LIMITI GENERALI ALLA EFFICACIA RETROATTIVA DELLE LEGGI PER LA CORTE COSTITUZIONALE

Così la Corte Costituzionale con la sentenza 103/2013 

<Questa Corte ha ripetutamente affermato che il divieto di retroattività della legge, previsto dall’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, pur costituendo valore fondamentale di civiltà giuridica, non riceve nell’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art. 25 Cost. (sentenze n. 78 e n. 15 del 2012, n. 236 del 2011, e n. 393 del 2006), e che «il legislatore – nel rispetto di tale previsione – può emanare norme retroattive, anche di interpretazione autentica, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti «motivi imperativi di interesse generale», ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). La norma che deriva dalla legge di interpretazione autentica, quindi, non può dirsi costituzionalmente illegittima qualora si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (ex plurimis: sentenze n. 271 e n. 257 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 24 del 2009). In tal caso, infatti, la legge interpretativa ha lo scopo di chiarire «situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo», in ragione di «un dibattito giurisprudenziale irrisolto» (sentenza n. 311 del 2009), o di «ristabilire un’interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore» (ancora sentenza n. 311 del 2009), a tutela della certezza del diritto e dell’eguaglianza dei cittadini, cioè di principi di preminente interesse costituzionale. Accanto a tale caratteristica, questa Corte ha individuato una serie di limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi, attinenti alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civiltà giuridica, posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 209 del 2010, citata, punto 5.1, del Considerato in diritto).>

Puoi leggere la sentenza per esteso premendo qui

lunedì 20 maggio 2013

MEMENTO: Corte Costituzionale e Corte di Giustizia, due lingue diverse!

Nella sentenza n. 166/2012 la Corte Costituzionale afferma:
<5.2.– Anche in relazione all’asserito contrasto con l’art. 41 Cost., questa Corte ne ha escluso la sussistenza. I dipendenti pubblici (come rimarca la stessa Corte rimettente a motivo della ritenuta manifesta infondatezza delle questioni relative alla dedotta violazione del diritto comunitario) «non svolgono servizi configuranti un’attività economica e la loro attività non può essere considerata come quella di un’impresa». Sicché, la legge n. 339 del 2003 incide non tanto sulle modalità di organizzazione della professione forense in termini rispettosi dei princìpi di concorrenza, quanto sul modo di svolgere il servizio presso enti pubblici, ai fini del soddisfacimento dell’interesse generale all’esecuzione della prestazione di lavoro pubblico secondo canoni di imparzialità e buon andamento, oltre che ad un corretto esercizio della professione legale.>

Ma la Corte di Giustizia nella sentenza C-225/09 aveva avuto modo di stabilire:
<33     La ricevibilità della quarta questione pregiudiziale non è, del resto, inficiata dall’argomento del governo ungherese secondo cui la legge n. 339/2003, riguardando i dipendenti pubblici, non disciplina nessuna delle situazioni di cui all’art. 8 della direttiva 98/5, che concerne solo gli avvocati che lavorano in qualità di lavoratori subordinati «di un altro avvocato, di un’associazione o società di avvocati, di [un’impresa pubblica o privata]».
34      Al riguardo occorre ricordare che la deroga richiamata dal governo ungherese – vale a dire l’inapplicabilità del diritto dell’Unione ai dipendenti pubblici – vale unicamente per gli impieghi che comportino una partecipazione all’esercizio di pubblici poteri e che presuppongano, pertanto, l’esistenza di un particolare rapporto con lo Stato. Per contro, le norme del diritto dell’Unione in materia di libera circolazione restano applicabili ad impieghi che, pur dipendendo dallo Stato o da altri enti pubblici, non implicano tuttavia alcuna partecipazione a compiti spettanti alla pubblica amministrazione propriamente detta (v. in tal senso, in particolare, sentenze 30 settembre 2003, causa C‑405/01, Colegio de Oficiales de la Marina Mercante Española, Racc. pag. I‑10391, punti 39 e 40, nonché 10 dicembre 2009, causa C‑345/08, Peśla, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 31).
35      Quanto, più precisamente, alla nozione di impresa pubblica che figura all’art. 8 della direttiva 98/5, secondo giurisprudenza consolidata, allorché un ente integrato nell’amministrazione pubblica esercita attività che presentano un carattere economico e non rientrano nell’esercizio di prerogative dei pubblici poteri, esso dev’essere considerato come una siffatta impresa (v., in tal senso, sentenze 27 ottobre 1993, causa C‑69/91, Decoster, Racc. pag. I‑5335, punto 15; 14 settembre 2000, causa C‑343/98, Collino e Chiappero, Racc. pag. I‑6659, punto 33, nonché 26 marzo 2009, causa C‑113/07 P, SELEX Sistemi Integrati/Commissione, Racc. pag. I‑2207, punto 82).
36      Da ciò consegue che l’ambito di applicazione della legge n. 339/2003 – la quale, letta in combinato disposto con il regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, cui fa rinvio, riguarda gli avvocati iscritti all’albo di uno degli ordini degli Avvocati della Repubblica italiana che hanno anche un rapporto d’impiego presso una pubblica amministrazione o un’istituzione pubblica soggetta a tutela o a vigilanza della Repubblica italiana o di un suo ente territoriale – coincide con quello dell’art. 8 della direttiva 98/5 per quanto concerne gli avvocati impiegati da un ente che, benché soggetto a vigilanza dello Stato italiano o di uno dei suoi enti locali, costituisca un’«[impresa pubblica]»

MEMENTO: cosa afferma la sentenza PLANTANOL in tema di tutela dell'affidamento.

La Corte Costituzionale con la sentenza 166/2012, per giustificare la legittimità costituzionale dell'art. 2 della L. 339/2003, afferma che la Corte di Giustizia avrebbe ribadito ".. con forza, in ordine al principio della tutela dell’affidamento, la propria giurisprudenza costante secondo cui gli amministrati non possono legittimamente confidare nella «conservazione di una situazione esistente che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle autorità nazionali (sentenza 10 settembre 2009, causa C-201/08, Plantanol, Racc. pag. I-8343, punto 53 e giurisprudenza ivi citata)» (punto 44)"

Beh dispiace SOTTOLINEARE come la sentenza Plantanol, dopo tale prima osservazione abbia, come è ovvio, affermato al punto 57 che "Tuttavia, spetta al giudice del rinvio decidere se un operatore economico prudente ed accorto poteva essere in grado di prevedere la possibilità di tale abolizione in un contesto come quello della causa principale. Trattandosi di un regime previsto da una normativa nazionale, è tenendo conto delle modalità di informazione di regola utilizzate dallo Stato membro che l’ha adottata e delle circostanze del caso di specie che tale giudice deve valutare, globalmente e in concreto, se sia stato debitamente rispettato il legittimo affidamento degli operatori economici considerati dalla detta normativa".


MEMENTO: ECCO COSA DICEVA IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI NEL 1999!

Nella ordinanza n. 183/1999 possiamo leggere cosa affermava il Presidente del Consiglio dei Ministri per bocca dell'Avvocatura di Stato in merito agli avvocati dipendenti pubblici a tempo parziale:

<... è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, la quale ha concluso per l'infondatezza, osservando preliminarmente che la norma censurata ha natura innovativa (e non interpretativa) e nel merito sostenendo che il contemporaneo svolgimento della professione forense e del rapporto di pubblico impiego non comporterebbe alcun conflitto fra i doveri del difensore e quelli del dipendente pubblico, i quali "restano su piani diversi">

MEMENTO: che fine ha fatto la diversità di situazione affermata dalle Sezioni Unite nel 2001?

Nel 2001 con la sentenza 8748 le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato che vi è diversità di situazione al fine della iscrizione all'albo degli avvocati tra il dipendente pubblico part -time e il dipendente (part time) di enti privati.

<Siffatta interpretazione della normativa, che rende incompatibile l'iscrizione all'albo degli avvocati dei dipendenti di enti privati, si intende qui ribadire, non costituendo argomenti sufficienti per un diverso orientamento il riferimento (peraltro generico) alle direttive CEE e l'invocato art. 1, comma 56-bis della legge n. 662 del 1996, come integrato dall'art. 6, n. 2, della legge 28 marzo 1997 n. 79, che consente l'iscrizione agli albi e l'esercizio di attività professionali ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, tenuto conto dell'obiettiva diversità della situazione in cui versano i dipendenti privati che non si trovano in quella condizione di autonomia che costituisce il presupposto della libera professione forense.>

giovedì 16 maggio 2013

Stop ai dipendenti pubblici part time avvocati

Le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 11833/2013 riportano le lancette al 1933 confermando incompatibilità stereotipe.
Dimenticano il principio di proporzionalità per cui
<... l’art. 8 della direttiva 98/5 dev’essere interpretato nel senso che lo Stato membro ospitante può imporre agli avvocati ivi iscritti e che siano impiegati – vuoi a tempo pieno vuoi a tempo parziale – presso un altro avvocato, un’associazione o società di avvocati oppure un’impresa pubblica o privata, restrizioni all’esercizio concomitante della professione forense e di detto impiego, sempreché tali restrizioni non eccedano quanto necessario per conseguire l’obiettivo di prevenzione dei conflitti di interesse e si applichino a tutti gli avvocati iscritti in detto Stato membro. >


mercoledì 17 aprile 2013

I LIMITI ALLA RIVIVISCENZA DI NORME ABROGATE - la sentenza della Corte Costituzionale 70_2013

Ecco quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 70/2013 in punto riviviscenza norme abrogate.

<La questione di legittimità costituzionale della norma impugnata è fondata con riferimento all’art. 97 Cost., che viene posto a base del ricorso con adeguata motivazione.
Questa Corte ha già affermato che non è conforme a tale disposizione costituzionale l’adozione, per regolare l’azione amministrativa, di una disciplina normativa «foriera di incertezza», posto che essa «può tradursi in cattivo esercizio delle funzioni affidate alla cura della pubblica amministrazione» (sentenza n. 364 del 2010).

Il fenomeno della riviviscenza di norme abrogate, quand’anche si manifesti nell’ambito delle «ipotesi tipiche e molto limitate» che l’ordinamento costituzionale tollera, rientra in linea generale in questa fattispecie, perché può generare «conseguenze imprevedibili» (sentenza n. 13 del 2012), valutabili anche con riguardo all’obbligo del legislatore di assicurare il buon andamento della pubblica amministrazione.

Nel caso di specie, il legislatore regionale, dopo avere dettato una regola di azione per l’amministrazione regionale, l’ha prima abrogata; poi l’ha fatta rivivere, ma solo per un periodo di tempo limitato e attraverso la tecnica, di per sé dagli esiti incerti, del differimento di un termine abrogativo già interamente maturato; infine l’ha nuovamente abrogata.

Questa Corte è chiamata a giudicare della legittimità costituzionale proprio della fase più critica di tale manifestamente irrazionale esercizio della discrezionalità legislativa, segnata dalla presunta riviviscenza del divieto recato dalla legge reg. Campania n. 11 del 2011. I procedimenti amministrativi che si sono svolti in questo periodo di tempo sono stati assoggettati ad una normativa difficilmente ricostruibile da parte dell’amministrazione, continuamente mutevole, e, soprattutto, non sorretta da alcun interesse di rilievo regionale degno di giustificare una legislazione così ondivaga.

Se, infatti, il legislatore campano avesse ritenuto prioritario imporre il divieto in questione, non si vede perché avrebbe deciso di farlo rivivere solo fino al 30 giugno 2012, né si capisce che cosa ne avrebbe determinato la successiva, nuova abrogazione da parte della legge regionale n. 26 del 2012, peraltro posteriore all’esaurimento dell’efficacia di tale divieto.

La frammentarietà del quadro normativo in tal modo originato non è perciò giustificabile alla luce di alcun interesse, desumibile dalla legislazione regionale, ad orientare in modo non univoco l’esercizio della discrezionalità legislativa, così da accordarla a necessità imposte dallo scorrere del tempo.
Ne consegue l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata per violazione dell’art. 97 Cost.>

martedì 12 marzo 2013

FORMAZIONE AVVOCATI A RISCHIO ILLEGITTIMITA' COMUNITARIA?

La CGE con la sentenza resa nella causa C-1/12 ha in buona sostanza affermato che  
- un regolamento relativo al conseguimento di crediti formativi adottato da un ordine professionale deve essere considerato una decisione presa da un’associazione di imprese ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE.
- la circostanza che un ordine professionale sia tenuto per legge a porre in essere un sistema di formazione obbligatoria destinato ai suoi membri non è idonea a sottrarre all’ambito di applicazione dell’articolo 101 TFUE le norme promulgate da tale ordine professionale, purché esse siano imputabili esclusivamente a quest’ultimo.
- la circostanza che tali norme non abbiano influenza diretta sull’attività economica dei membri di detto ordine professionale non incide sull’applicabilità dell’articolo 101 TFUE, dal momento che la violazione censurata al medesimo ordine professionale concerne un mercato nel quale esso stesso esercita un’attività economica.
- un regolamento che pone in essere un sistema di formazione obbligatoria ai propri iscritti al fine di garantire la qualità dei servizi offerti da questi ultimi, adottato da un ordine professionale  configura una restrizione della concorrenza vietata dall’articolo 101 TFUE, quando elimina la concorrenza per una parte sostanziale del mercato rilevante, a vantaggio di tale ordine professionale, ed impone, per l’altra parte di detto mercato, condizioni discriminatorie a danno dei concorrenti di detto ordine professionale, circostanze che spetta al giudice del rinvio verificare.

Clicca per il testo integrale

mercoledì 27 febbraio 2013

Uno Stato membro può imporre, per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di IVA, una sanzione tributaria e successivamente una sanzione penale, qualora la prima sanzione non sia di natura penale.

La Corte di Giustizia con la sentenza C-617/10 ha così dichiarato

"1)      Il principio del ne bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea non osta a che uno Stato membro imponga, per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di imposta sul valore aggiunto, una sanzione tributaria e successivamente una sanzione penale, qualora la prima sanzione non sia di natura penale, circostanza che dev’essere verificata dal giudice nazionale.
2)      Il diritto dell’Unione non disciplina i rapporti tra la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri e nemmeno determina le conseguenze che un giudice nazionale deve trarre nell’ipotesi di conflitto tra i diritti garantiti da tale convenzione ed una norma di diritto nazionale.
Il diritto dell’Unione osta a una prassi giudiziaria che subordina l’obbligo, per il giudice nazionale, di disapplicare ogni disposizione che sia in contrasto con un diritto fondamentale garantito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea alla condizione che tale contrasto risulti chiaramente dal tenore della medesima o dalla relativa giurisprudenza, dal momento che essa priva il giudice nazionale del potere di valutare pienamente, se del caso con la collaborazione della Corte di giustizia dell’Unione europea, la compatibilità di tale disposizione con la Carta medesima."

Per la sentenza in esteso http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=134202&pageIndex=0&doclang=IT&mode=req&dir=&occ=first&part=1&cid=2512391

venerdì 25 gennaio 2013

Anche il giudice nazionale del rinvio ha l'obbligo a sottoporre d'ufficio alla CGE una domanda di pronuncia pregiudiziale


Così la sentenza della CGE nella causa 416/10
<L’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale, come l’odierno giudice del rinvio, ha l’obbligo di sottoporre d’ufficio alla Corte di giustizia dell’Unione europea una domanda di pronuncia pregiudiziale anche quando esso statuisca su rinvio a seguito dell’annullamento della sua prima decisione ad opera del giudice costituzionale dello Stato membro interessato e una norma nazionale gli imponga di risolvere la controversia conformandosi alla valutazione in diritto espressa da quest’ultimo giudice>

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giovedì 3 gennaio 2013

Dubbi di costituzionalità sulla riforma dell'ordinamento forense

Ecco alcuni dubbi di costituzionalità della riforma dell'ordinamento forense:
1) la previsione all'articolo 41, comma 11, in punto retribuzione retribuzione a favore dei praticanti avvocati nei primi sei mesi di tirocinio, viola l'art. 35 Cost. e, dato il diverso trattamento per il caso di pratica presso enti pubblici ed Avvocatura dello Stato, l'art. 3 Cost. (vedi, nel corso della seduta 366 del 26/11/2012 della Commissione Lavoro del Senato, gli interventi dei Sen. Ichino, Castro, Cristina De Luca, Passoni, e del Presidente della Commissione Giuliano, i quali, inoltre, hanno rilevato la contraddizione -incostituzionalità per disparità di trattamento- con quanto stabilito in tema di apprendistato nel decreto legislativo del 14 settembre 2011 e confermato nella legge n. 92 sul mercato del lavoro. Vedi altresì il parere della detta Commissione Lavoro) ?
2) la istituzione legislativa del CNF come giudice speciale "nuovo" (per snaturamento della precedente attribuzione giurisdizionale), viola l'art. 102 della Costituzione (che al secondo comma prevede che non possono essere istituiti giudici speciali)?
3) viola l'art. 111, comma 2, della Costituzione per cui "Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale", e la VI disposizione transitoria della Costituzione che prevede che si debba procedere alla revisione degli organi speciali di giurisdizione precostituzionali -tra i quali, appunto, il CNF- rispettando la Costituzione, l'istituzione del "nuovo" giudice speciale CNF (aggravata dal fatto che viene confermata nel CNF la promiscuità di ruoli, di natura amministrativa e giurisdizionale, rivestiti da tutti i singoli consiglieri, mentre tale promiscuità viene meno nei Consigli Nazionali delle professioni che non hanno natura di giudici della disciplina) ?
4) la previsione di ingiustificabili privilegi in tema di prova della continuità dell'esercizio della professione e di adempimento del dovere di formazione professionale a vantaggio dei parlamentari avvocati e dei membri degli organi legislativi rispetto a tutti gli altri avvocati viola l'art. 3 Cost. ?
5) viola gli artt. 33 e 3 della Costituzione la previsione all'art. 19 di un divieto di iscrizione all'albo forense per gli insegnanti delle scuole elementari ?
6) viola gli art. 4, 41, 97, 101, 102, 108, 111, 113, 138 della Costituzione la realizzazione di una organizzazione della professione di avvocato che concentra in unico ente pubblico non economico, il CNF, la rappresentanza istituzionale degli avvocati e il potere giurisdizionale, amministrativo e legislativo di settore?