Sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea del 6
novembre 2013 - L294 è stata pubblicata la Direttiva 2013/48/UE del Parlamento europeo e del Consiglio
del 22 ottobre 2013.
La Direttiva è relativa al diritto di avvalersi di un difensore
nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato
d'arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della
privazione della libertà personale e al diritto delle persone private
della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità
consolari.
La Direttiva è entrata in vigore il 26
novembre 2013 e dovrà essere recepito dagli Stati membri entro il 27
novembre 2016.
per leggere il testo della direttiva clicca qui sopra
mercoledì 27 novembre 2013
giovedì 12 settembre 2013
la revoca con effetto retroattivo di un atto legittimo con il quale sono stati attribuiti dei diritti o analoghi vantaggi, è contraria ai principi giuridici generali
Così la Corte di Giustizia con la sentenza n. 159/82 confermava il principio espresso nella sentenza del 22 marzo 1961 cause 42 e 49/59.
clicca per leggere la sentenza integrale
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ILLEGITTIMO L'AVVISO DI ACCERTAMENTO EMESSO PRIMA DELLO SCADERE DEI 60 GIORNI PREVISTO DALL'ART. 12 comma 7 L. 212/2000
Le Sezioni Unite con la sentenza n.18184 del 29 luglio 2013 , risolvendo un contrasto, hanno deciso che
l'inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l'emanazione
dell'avviso di accertamento, previsto dall'art. 12, comma 7, della
legge 27 luglio 2000, n. 212, decorrente dal rilascio al contribuente
della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, comporta
l'illegittimità dell'atto impositivo emesso ante tempus, salvo che
ricorrano specifiche ragioni di urgenza.
Nella sentenza tra l'altro si legge che a gran parte delle disposizioni contenute nello Statuto del Contribuente (L. 212/2000) va attribuito il ruolo di espressione di principi immanenti nell'ordinamento tributario, già prima dell'entrata in vigore dello Statuto stesso, e quindi di criteri guida per orientare l'interprete nell'esegesi delle norme, anche anteriormente vigenti.
clicca per leggere la sentenza come riportata dal sito della corte di cassazione
Nella sentenza tra l'altro si legge che a gran parte delle disposizioni contenute nello Statuto del Contribuente (L. 212/2000) va attribuito il ruolo di espressione di principi immanenti nell'ordinamento tributario, già prima dell'entrata in vigore dello Statuto stesso, e quindi di criteri guida per orientare l'interprete nell'esegesi delle norme, anche anteriormente vigenti.
clicca per leggere la sentenza come riportata dal sito della corte di cassazione
giovedì 27 giugno 2013
NELLA SIMULAZIONE RELATIVA L'ALIENANTE NON E' LITISCONSORTE NECESSARIO
Le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 11523 del 14 maggio 2013 hanno affermato il seguente principio di diritto:
<nella simulazione relativa della compravendita per
interposizione fittizia dell'acquirente, l'alienante non è
litisconsorte necessario, se nei suoi riguardi il negozio è stato
integralmente eseguito e manca ogni suo interesse a essere parte nel
giudizio>.
La Cassazione infatti ha osservato che <l'accertamento giudiziale e
il giudicato hanno la funzione di produrre effetti nella sfera
giuridico-patrimoniale delle parti, modificando (o confermando
definitivamente) il precedente assetto, ove lo stesso non abbia
questa finalità, perchè lascia invariati gli interessi di una parte (in
senso formale), non vi è la necessità inderogabile di far
partecipare questa parte al processo perchè così operando si
finirebbe per attribuire al giudicato un'efficacia erga omnes, di
natura meramente dichiarativa, diversa da quella derivante
dall'intangibilità così come definita nell'art. 2909 c.c..
Ed
è appunto questa la situazione che si verifica con riferimento
all'alienante quando il contratto sia stato eseguito e si discuta di
simulazione relativa per interposizione fittizia nella persona
dell'acquirente.>
lunedì 3 giugno 2013
CONVENZIONE CASSA FORENSE PER L'ASSICURAZIONE PROFESSIONALE - L'AGCM CONTRO UNA UNICA CONVENZIONE
L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha sollevato dubbi in merito alla eventuale stipulazione di una unica convenzione assicurativa con una unica compagnia senza aver posto in essere procedure di evidenza pubblica.
L'Autorità infatti afferma che <al fine di consentire il massimo confronto concorrenziale, la possibilità di stipulare convenzioni dovrebbe essere “aperta” a tutti gli operatori del mercato assicurativo che rispettino le caratteristiche richieste dalla Cassa.>
Clicca per leggere la segnalazione AS1047
L'Autorità infatti afferma che <al fine di consentire il massimo confronto concorrenziale, la possibilità di stipulare convenzioni dovrebbe essere “aperta” a tutti gli operatori del mercato assicurativo che rispettino le caratteristiche richieste dalla Cassa.>
Clicca per leggere la segnalazione AS1047
giovedì 30 maggio 2013
I LIMITI GENERALI ALLA EFFICACIA RETROATTIVA DELLE LEGGI PER LA CORTE COSTITUZIONALE
Così la Corte Costituzionale con la sentenza 103/2013
<Questa Corte ha ripetutamente affermato che il divieto di retroattività della legge, previsto dall’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, pur costituendo valore fondamentale di civiltà giuridica, non riceve nell’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art. 25 Cost. (sentenze n. 78 e n. 15 del 2012, n. 236 del 2011, e n. 393 del 2006), e che «il legislatore – nel rispetto di tale previsione – può emanare norme retroattive, anche di interpretazione autentica, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti «motivi imperativi di interesse generale», ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). La norma che deriva dalla legge di interpretazione autentica, quindi, non può dirsi costituzionalmente illegittima qualora si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (ex plurimis: sentenze n. 271 e n. 257 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 24 del 2009). In tal caso, infatti, la legge interpretativa ha lo scopo di chiarire «situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo», in ragione di «un dibattito giurisprudenziale irrisolto» (sentenza n. 311 del 2009), o di «ristabilire un’interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore» (ancora sentenza n. 311 del 2009), a tutela della certezza del diritto e dell’eguaglianza dei cittadini, cioè di principi di preminente interesse costituzionale. Accanto a tale caratteristica, questa Corte ha individuato una serie di limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi, attinenti alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civiltà giuridica, posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 209 del 2010, citata, punto 5.1, del Considerato in diritto).>
Puoi leggere la sentenza per esteso premendo qui
<Questa Corte ha ripetutamente affermato che il divieto di retroattività della legge, previsto dall’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, pur costituendo valore fondamentale di civiltà giuridica, non riceve nell’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art. 25 Cost. (sentenze n. 78 e n. 15 del 2012, n. 236 del 2011, e n. 393 del 2006), e che «il legislatore – nel rispetto di tale previsione – può emanare norme retroattive, anche di interpretazione autentica, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti «motivi imperativi di interesse generale», ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). La norma che deriva dalla legge di interpretazione autentica, quindi, non può dirsi costituzionalmente illegittima qualora si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (ex plurimis: sentenze n. 271 e n. 257 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 24 del 2009). In tal caso, infatti, la legge interpretativa ha lo scopo di chiarire «situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo», in ragione di «un dibattito giurisprudenziale irrisolto» (sentenza n. 311 del 2009), o di «ristabilire un’interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore» (ancora sentenza n. 311 del 2009), a tutela della certezza del diritto e dell’eguaglianza dei cittadini, cioè di principi di preminente interesse costituzionale. Accanto a tale caratteristica, questa Corte ha individuato una serie di limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi, attinenti alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civiltà giuridica, posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 209 del 2010, citata, punto 5.1, del Considerato in diritto).>
Puoi leggere la sentenza per esteso premendo qui
lunedì 20 maggio 2013
MEMENTO: Corte Costituzionale e Corte di Giustizia, due lingue diverse!
Nella sentenza n. 166/2012 la Corte Costituzionale afferma:
<5.2.– Anche in relazione all’asserito contrasto con l’art. 41 Cost., questa Corte ne ha escluso la sussistenza. I dipendenti pubblici (come rimarca la stessa Corte rimettente a motivo della ritenuta manifesta infondatezza delle questioni relative alla dedotta violazione del diritto comunitario) «non svolgono servizi configuranti un’attività economica e la loro attività non può essere considerata come quella di un’impresa». Sicché, la legge n. 339 del 2003 incide non tanto sulle modalità di organizzazione della professione forense in termini rispettosi dei princìpi di concorrenza, quanto sul modo di svolgere il servizio presso enti pubblici, ai fini del soddisfacimento dell’interesse generale all’esecuzione della prestazione di lavoro pubblico secondo canoni di imparzialità e buon andamento, oltre che ad un corretto esercizio della professione legale.>
Ma la Corte di Giustizia nella sentenza C-225/09 aveva avuto modo di stabilire:
<5.2.– Anche in relazione all’asserito contrasto con l’art. 41 Cost., questa Corte ne ha escluso la sussistenza. I dipendenti pubblici (come rimarca la stessa Corte rimettente a motivo della ritenuta manifesta infondatezza delle questioni relative alla dedotta violazione del diritto comunitario) «non svolgono servizi configuranti un’attività economica e la loro attività non può essere considerata come quella di un’impresa». Sicché, la legge n. 339 del 2003 incide non tanto sulle modalità di organizzazione della professione forense in termini rispettosi dei princìpi di concorrenza, quanto sul modo di svolgere il servizio presso enti pubblici, ai fini del soddisfacimento dell’interesse generale all’esecuzione della prestazione di lavoro pubblico secondo canoni di imparzialità e buon andamento, oltre che ad un corretto esercizio della professione legale.>
Ma la Corte di Giustizia nella sentenza C-225/09 aveva avuto modo di stabilire:
<33 La
ricevibilità della quarta questione pregiudiziale non è, del resto,
inficiata dall’argomento del governo ungherese secondo cui la legge
n. 339/2003, riguardando i dipendenti pubblici, non disciplina nessuna
delle situazioni di cui all’art. 8 della direttiva 98/5, che concerne
solo gli avvocati che lavorano in qualità di lavoratori subordinati «di
un altro avvocato, di un’associazione o società di avvocati, di
[un’impresa pubblica o privata]».
34 Al
riguardo occorre ricordare che la deroga richiamata dal governo
ungherese – vale a dire l’inapplicabilità del diritto dell’Unione ai
dipendenti pubblici – vale unicamente per gli impieghi che comportino
una partecipazione all’esercizio di pubblici poteri e che presuppongano,
pertanto, l’esistenza di un particolare rapporto con lo Stato. Per
contro, le norme del diritto dell’Unione in materia di libera
circolazione restano applicabili ad impieghi che, pur dipendendo dallo
Stato o da altri enti pubblici, non implicano tuttavia alcuna
partecipazione a compiti spettanti alla pubblica amministrazione
propriamente detta (v. in tal senso, in particolare, sentenze 30
settembre 2003, causa C‑405/01, Colegio de Oficiales de la Marina
Mercante Española, Racc. pag. I‑10391, punti 39 e 40, nonché 10 dicembre
2009, causa C‑345/08, Peśla, non ancora pubblicata nella Raccolta,
punto 31).
35 Quanto,
più precisamente, alla nozione di impresa pubblica che figura
all’art. 8 della direttiva 98/5, secondo giurisprudenza consolidata,
allorché un ente integrato nell’amministrazione pubblica esercita
attività che presentano un carattere economico e non rientrano
nell’esercizio di prerogative dei pubblici poteri, esso dev’essere
considerato come una siffatta impresa (v., in tal senso, sentenze 27
ottobre 1993, causa C‑69/91, Decoster, Racc. pag. I‑5335, punto 15; 14
settembre 2000, causa C‑343/98, Collino e Chiappero, Racc. pag. I‑6659,
punto 33, nonché 26 marzo 2009, causa C‑113/07 P, SELEX Sistemi
Integrati/Commissione, Racc. pag. I‑2207, punto 82).
36 Da
ciò consegue che l’ambito di applicazione della legge n. 339/2003 – la
quale, letta in combinato disposto con il regio decreto legge 27
novembre 1933, n. 1578, cui fa rinvio, riguarda gli avvocati iscritti
all’albo di uno degli ordini degli Avvocati della Repubblica italiana
che hanno anche un rapporto d’impiego presso una pubblica
amministrazione o un’istituzione pubblica soggetta a tutela o a
vigilanza della Repubblica italiana o di un suo ente territoriale –
coincide con quello dell’art. 8 della direttiva 98/5 per quanto concerne
gli avvocati impiegati da un ente che, benché soggetto a vigilanza
dello Stato italiano o di uno dei suoi enti locali, costituisca
un’«[impresa pubblica]»
MEMENTO: cosa afferma la sentenza PLANTANOL in tema di tutela dell'affidamento.
La Corte Costituzionale con la sentenza 166/2012, per giustificare la legittimità costituzionale dell'art. 2 della L. 339/2003, afferma che la Corte di Giustizia avrebbe ribadito ".. con forza, in ordine al principio della tutela dell’affidamento, la
propria giurisprudenza costante secondo cui gli amministrati non possono
legittimamente confidare nella «conservazione di una situazione
esistente che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale
delle autorità nazionali (sentenza 10 settembre 2009, causa C-201/08,
Plantanol, Racc. pag. I-8343, punto 53 e giurisprudenza ivi citata)»
(punto 44)"
Beh dispiace SOTTOLINEARE come la sentenza Plantanol, dopo tale prima osservazione abbia, come è ovvio, affermato al punto 57 che "Tuttavia, spetta al giudice del rinvio decidere se un operatore economico prudente ed accorto poteva essere in grado di prevedere la possibilità di tale abolizione in un contesto come quello della causa principale. Trattandosi di un regime previsto da una normativa nazionale, è tenendo conto delle modalità di informazione di regola utilizzate dallo Stato membro che l’ha adottata e delle circostanze del caso di specie che tale giudice deve valutare, globalmente e in concreto, se sia stato debitamente rispettato il legittimo affidamento degli operatori economici considerati dalla detta normativa".
Beh dispiace SOTTOLINEARE come la sentenza Plantanol, dopo tale prima osservazione abbia, come è ovvio, affermato al punto 57 che "Tuttavia, spetta al giudice del rinvio decidere se un operatore economico prudente ed accorto poteva essere in grado di prevedere la possibilità di tale abolizione in un contesto come quello della causa principale. Trattandosi di un regime previsto da una normativa nazionale, è tenendo conto delle modalità di informazione di regola utilizzate dallo Stato membro che l’ha adottata e delle circostanze del caso di specie che tale giudice deve valutare, globalmente e in concreto, se sia stato debitamente rispettato il legittimo affidamento degli operatori economici considerati dalla detta normativa".
MEMENTO: ECCO COSA DICEVA IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI NEL 1999!
Nella ordinanza n. 183/1999 possiamo leggere cosa affermava il Presidente del Consiglio dei Ministri per bocca dell'Avvocatura di Stato in merito agli avvocati dipendenti pubblici a tempo parziale:
<... è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, la quale ha concluso per l'infondatezza, osservando preliminarmente che la norma censurata ha natura innovativa (e non interpretativa) e nel merito sostenendo che il contemporaneo svolgimento della professione forense e del rapporto di pubblico impiego non comporterebbe alcun conflitto fra i doveri del difensore e quelli del dipendente pubblico, i quali "restano su piani diversi">
<... è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, la quale ha concluso per l'infondatezza, osservando preliminarmente che la norma censurata ha natura innovativa (e non interpretativa) e nel merito sostenendo che il contemporaneo svolgimento della professione forense e del rapporto di pubblico impiego non comporterebbe alcun conflitto fra i doveri del difensore e quelli del dipendente pubblico, i quali "restano su piani diversi">
MEMENTO: che fine ha fatto la diversità di situazione affermata dalle Sezioni Unite nel 2001?
Nel 2001 con la sentenza 8748 le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato che vi è diversità di situazione al fine della iscrizione all'albo degli avvocati tra il dipendente pubblico part -time e il dipendente (part time) di enti privati.
<Siffatta interpretazione della normativa, che rende incompatibile l'iscrizione all'albo degli avvocati dei dipendenti di enti privati, si intende qui ribadire, non costituendo argomenti sufficienti per un diverso orientamento il riferimento (peraltro generico) alle direttive CEE e l'invocato art. 1, comma 56-bis della legge n. 662 del 1996, come integrato dall'art. 6, n. 2, della legge 28 marzo 1997 n. 79, che consente l'iscrizione agli albi e l'esercizio di attività professionali ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, tenuto conto dell'obiettiva diversità della situazione in cui versano i dipendenti privati che non si trovano in quella condizione di autonomia che costituisce il presupposto della libera professione forense.>
<Siffatta interpretazione della normativa, che rende incompatibile l'iscrizione all'albo degli avvocati dei dipendenti di enti privati, si intende qui ribadire, non costituendo argomenti sufficienti per un diverso orientamento il riferimento (peraltro generico) alle direttive CEE e l'invocato art. 1, comma 56-bis della legge n. 662 del 1996, come integrato dall'art. 6, n. 2, della legge 28 marzo 1997 n. 79, che consente l'iscrizione agli albi e l'esercizio di attività professionali ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, tenuto conto dell'obiettiva diversità della situazione in cui versano i dipendenti privati che non si trovano in quella condizione di autonomia che costituisce il presupposto della libera professione forense.>
giovedì 16 maggio 2013
Stop ai dipendenti pubblici part time avvocati
Le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 11833/2013 riportano le lancette al 1933 confermando incompatibilità stereotipe.
Dimenticano il principio di proporzionalità per cui
<... l’art. 8 della direttiva 98/5 dev’essere interpretato nel senso che lo Stato membro ospitante può imporre agli avvocati ivi iscritti e che siano impiegati – vuoi a tempo pieno vuoi a tempo parziale – presso un altro avvocato, un’associazione o società di avvocati oppure un’impresa pubblica o privata, restrizioni all’esercizio concomitante della professione forense e di detto impiego, sempreché tali restrizioni non eccedano quanto necessario per conseguire l’obiettivo di prevenzione dei conflitti di interesse e si applichino a tutti gli avvocati iscritti in detto Stato membro. >
Dimenticano il principio di proporzionalità per cui
<... l’art. 8 della direttiva 98/5 dev’essere interpretato nel senso che lo Stato membro ospitante può imporre agli avvocati ivi iscritti e che siano impiegati – vuoi a tempo pieno vuoi a tempo parziale – presso un altro avvocato, un’associazione o società di avvocati oppure un’impresa pubblica o privata, restrizioni all’esercizio concomitante della professione forense e di detto impiego, sempreché tali restrizioni non eccedano quanto necessario per conseguire l’obiettivo di prevenzione dei conflitti di interesse e si applichino a tutti gli avvocati iscritti in detto Stato membro. >
mercoledì 17 aprile 2013
I LIMITI ALLA RIVIVISCENZA DI NORME ABROGATE - la sentenza della Corte Costituzionale 70_2013
Ecco quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 70/2013 in punto riviviscenza norme abrogate.
<La questione di legittimità costituzionale della norma impugnata è fondata con riferimento all’art. 97 Cost., che viene posto a base del ricorso con adeguata motivazione.
<La questione di legittimità costituzionale della norma impugnata è fondata con riferimento all’art. 97 Cost., che viene posto a base del ricorso con adeguata motivazione.
Questa Corte ha già affermato che non è conforme a tale
disposizione costituzionale l’adozione, per regolare l’azione
amministrativa, di una disciplina normativa «foriera di incertezza»,
posto che essa «può tradursi in cattivo esercizio delle funzioni
affidate alla cura della pubblica amministrazione» (sentenza n. 364 del
2010).
Il fenomeno della riviviscenza di norme abrogate,
quand’anche si manifesti nell’ambito delle «ipotesi tipiche e molto
limitate» che l’ordinamento costituzionale tollera, rientra in linea
generale in questa fattispecie, perché può generare «conseguenze
imprevedibili» (sentenza n. 13 del 2012), valutabili anche con riguardo
all’obbligo del legislatore di assicurare il buon andamento della
pubblica amministrazione.
Nel caso di specie, il legislatore regionale, dopo avere
dettato una regola di azione per l’amministrazione regionale, l’ha
prima abrogata; poi l’ha fatta rivivere, ma solo per un periodo di tempo
limitato e attraverso la tecnica, di per sé dagli esiti incerti, del
differimento di un termine abrogativo già interamente maturato; infine
l’ha nuovamente abrogata.
Questa Corte è chiamata a giudicare della legittimità
costituzionale proprio della fase più critica di tale manifestamente
irrazionale esercizio della discrezionalità legislativa, segnata dalla
presunta riviviscenza del divieto recato dalla legge reg. Campania n. 11
del 2011. I procedimenti amministrativi che si sono svolti in questo
periodo di tempo sono stati assoggettati ad una normativa difficilmente
ricostruibile da parte dell’amministrazione, continuamente mutevole, e,
soprattutto, non sorretta da alcun interesse di rilievo regionale degno
di giustificare una legislazione così ondivaga.
Se, infatti, il legislatore campano avesse ritenuto
prioritario imporre il divieto in questione, non si vede perché avrebbe
deciso di farlo rivivere solo fino al 30 giugno 2012, né si capisce che
cosa ne avrebbe determinato la successiva, nuova abrogazione da parte
della legge regionale n. 26 del 2012, peraltro posteriore
all’esaurimento dell’efficacia di tale divieto.
La frammentarietà del quadro normativo in tal modo
originato non è perciò giustificabile alla luce di alcun interesse,
desumibile dalla legislazione regionale, ad orientare in modo non
univoco l’esercizio della discrezionalità legislativa, così da
accordarla a necessità imposte dallo scorrere del tempo.
Ne consegue l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata per violazione dell’art. 97 Cost.>
martedì 12 marzo 2013
FORMAZIONE AVVOCATI A RISCHIO ILLEGITTIMITA' COMUNITARIA?
La CGE con la sentenza resa nella causa C-1/12 ha in buona sostanza affermato che
- un regolamento relativo al conseguimento di crediti formativi adottato da un ordine
professionale deve essere considerato una decisione presa da
un’associazione di imprese ai sensi dell’articolo 101,
paragrafo 1, TFUE.
- la
circostanza che un ordine professionale sia tenuto per legge a porre in essere un sistema di
formazione obbligatoria destinato ai suoi membri non è idonea a
sottrarre all’ambito di applicazione dell’articolo 101 TFUE le norme
promulgate da tale ordine professionale, purché esse siano imputabili
esclusivamente a quest’ultimo.
- la
circostanza che tali norme non abbiano influenza diretta sull’attività
economica dei membri di detto ordine professionale non incide
sull’applicabilità dell’articolo 101 TFUE, dal momento che la violazione
censurata al medesimo ordine professionale concerne un mercato nel
quale esso stesso esercita un’attività economica.
- un
regolamento che pone in essere un sistema di formazione obbligatoria ai propri iscritti al fine di garantire la qualità dei servizi
offerti da questi ultimi, adottato da un ordine professionale configura una restrizione della
concorrenza vietata dall’articolo 101 TFUE, quando elimina la
concorrenza per una parte sostanziale del mercato rilevante, a vantaggio
di tale ordine professionale, ed impone, per l’altra parte di detto
mercato, condizioni discriminatorie a danno dei concorrenti di detto
ordine professionale, circostanze che spetta al giudice del rinvio
verificare.
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mercoledì 27 febbraio 2013
Uno Stato membro può imporre, per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di IVA, una sanzione tributaria e successivamente una sanzione penale, qualora la prima sanzione non sia di natura penale.
La Corte di Giustizia con la sentenza C-617/10 ha così dichiarato
"1) Il
principio del ne bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea non osta a che uno Stato membro
imponga, per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia
di imposta sul valore aggiunto, una sanzione tributaria e
successivamente una sanzione penale, qualora la prima sanzione non sia
di natura penale, circostanza che dev’essere verificata dal giudice
nazionale.
2) Il diritto
dell’Unione non disciplina i rapporti tra la Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata
a Roma il 4 novembre 1950, e gli ordinamenti giuridici degli Stati
membri e nemmeno determina le conseguenze che un giudice nazionale deve
trarre nell’ipotesi di conflitto tra i diritti garantiti da tale
convenzione ed una norma di diritto nazionale.
Il
diritto dell’Unione osta a una prassi giudiziaria che subordina
l’obbligo, per il giudice nazionale, di disapplicare ogni disposizione
che sia in contrasto con un diritto fondamentale garantito dalla Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea alla condizione che tale
contrasto risulti chiaramente dal tenore della medesima o dalla relativa
giurisprudenza, dal momento che essa priva il giudice nazionale del
potere di valutare pienamente, se del caso con la collaborazione della
Corte di giustizia dell’Unione europea, la compatibilità di tale
disposizione con la Carta medesima."
Per la sentenza in esteso http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=134202&pageIndex=0&doclang=IT&mode=req&dir=&occ=first&part=1&cid=2512391
venerdì 25 gennaio 2013
Anche il giudice nazionale del rinvio ha l'obbligo a sottoporre d'ufficio alla CGE una domanda di pronuncia pregiudiziale
Così la sentenza della CGE nella causa 416/10
<L’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale, come l’odierno giudice del rinvio, ha l’obbligo di sottoporre d’ufficio alla Corte di giustizia dell’Unione europea una domanda di pronuncia pregiudiziale anche quando esso statuisca su rinvio a seguito dell’annullamento della sua prima decisione ad opera del giudice costituzionale dello Stato membro interessato e una norma nazionale gli imponga di risolvere la controversia conformandosi alla valutazione in diritto espressa da quest’ultimo giudice>
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giovedì 3 gennaio 2013
Dubbi di costituzionalità sulla riforma dell'ordinamento forense
Ecco alcuni dubbi di costituzionalità della riforma dell'ordinamento forense:
1) la previsione
all'articolo 41, comma 11, in punto retribuzione retribuzione a
favore dei praticanti avvocati nei primi sei mesi di tirocinio, viola l'art. 35 Cost. e, dato il diverso trattamento
per il caso di pratica presso enti pubblici ed Avvocatura dello Stato, l'art. 3 Cost. (vedi, nel corso della
seduta 366 del 26/11/2012 della Commissione Lavoro del Senato, gli
interventi dei Sen. Ichino, Castro, Cristina De Luca, Passoni, e del
Presidente della Commissione Giuliano, i quali, inoltre, hanno rilevato
la contraddizione -incostituzionalità per disparità di trattamento- con
quanto stabilito in tema di apprendistato nel decreto legislativo del 14
settembre 2011 e confermato nella legge n. 92 sul mercato del lavoro.
Vedi altresì il parere della detta Commissione Lavoro) ?
2) la istituzione
legislativa del CNF come giudice speciale "nuovo" (per snaturamento
della precedente attribuzione giurisdizionale), viola l'art.
102 della Costituzione (che al secondo comma prevede che non possono
essere istituiti giudici speciali)?
3) viola l'art.
111, comma 2, della Costituzione per cui "Ogni processo si svolge nel
contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale", e la VI disposizione transitoria della Costituzione che prevede
che si debba procedere alla revisione degli organi speciali di
giurisdizione precostituzionali -tra i quali, appunto, il CNF- rispettando la Costituzione, l'istituzione del "nuovo" giudice speciale CNF (aggravata dal fatto che viene
confermata nel CNF la promiscuità di ruoli, di natura amministrativa e
giurisdizionale, rivestiti da tutti i singoli consiglieri, mentre tale
promiscuità viene meno nei Consigli Nazionali delle professioni che non
hanno natura di giudici della disciplina) ?
4) la previsione di
ingiustificabili privilegi in tema di prova della
continuità dell'esercizio della professione e di adempimento del dovere
di formazione professionale a vantaggio dei parlamentari avvocati e dei
membri degli organi legislativi rispetto a tutti gli altri avvocati viola l'art. 3 Cost. ?
5) viola gli artt. 33 e 3 della Costituzione la
previsione all'art. 19 di un divieto di iscrizione all'albo forense
per gli insegnanti delle scuole elementari ?
6) viola gli art. 4, 41, 97, 101,
102, 108, 111, 113, 138 della Costituzione la realizzazione di
una organizzazione della professione di avvocato che
concentra in unico ente pubblico non economico, il CNF, la
rappresentanza istituzionale degli avvocati e il potere giurisdizionale,
amministrativo e legislativo di settore?
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