<Questa Corte ha già chiarito (sentenze n. 49 del 1970, n. 58
del 1967 e n. 127 del 1966) che l’efficacia retroattiva delle pronunce
di illegittimità costituzionale è (e non può non essere) principio
generale valevole nei giudizi davanti a questa Corte; esso, tuttavia,
non è privo di limiti.
Anzitutto è pacifico che l’efficacia delle sentenze di
accoglimento non retroagisce fino al punto di travolgere le «situazioni
giuridiche comunque divenute irrevocabili» ovvero i «rapporti esauriti».
Diversamente ne risulterebbe compromessa la certezza dei rapporti
giuridici (sentenze n. 49 del 1970, n. 26 del 1969, n. 58 del 1967 e n.
127 del 1966). Pertanto, il principio della retroattività «vale […]
soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di
quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata
invalida» (sentenza n. 139 del 1984, ripresa da ultimo dalla sentenza n.
1 del 2014). In questi casi, l’individuazione in concreto del limite
alla retroattività, dipendendo dalla specifica disciplina di settore –
relativa, ad esempio, ai termini di decadenza, prescrizione o
inoppugnabilità degli atti amministrativi – che precluda ogni ulteriore
azione o rimedio giurisdizionale, rientra nell’ambito dell’ordinaria
attività interpretativa di competenza del giudice comune (principio
affermato, ex plurimis, sin dalle sentenze n. 58 del 1967 e n. 49 del
1970).
Inoltre, come il limite dei «rapporti esauriti» ha
origine nell’esigenza di tutelare il principio della certezza del
diritto, così ulteriori limiti alla retroattività delle decisioni di
illegittimità costituzionale possono derivare dalla necessità di
salvaguardare principi o diritti di rango costituzionale che altrimenti
risulterebbero irreparabilmente sacrificati. In questi casi, la loro
individuazione è ascrivibile all’attività di bilanciamento tra valori di
rango costituzionale ed è, quindi, la Corte costituzionale – e solo
essa – ad avere la competenza in proposito.
Una simile graduazione degli effetti temporali delle
dichiarazioni di illegittimità costituzionale deve ritenersi coerente
con i principi della Carta costituzionale: in tal senso questa Corte ha
operato anche in passato, in alcune circostanze sia pure non del tutto
sovrapponibili a quella in esame (sentenze n. 423 e n. 13 del 2004, n.
370 del 2003, n. 416 del 1992, n. 124 del 1991, n. 50 del 1989, n. 501 e
n. 266 del 1988).
Il compito istituzionale affidato a questa Corte
richiede che la Costituzione sia garantita come un tutto unitario, in
modo da assicurare «una tutela sistemica e non frazionata» (sentenza n.
264 del 2012) di tutti i diritti e i principi coinvolti nella decisione.
«Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno
dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre
situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette»: per
questo la Corte opera normalmente un ragionevole bilanciamento dei
valori coinvolti nella normativa sottoposta al suo esame, dal momento
che «[l]a Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche
e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole
bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di
assolutezza per nessuno di essi» (sentenza n. 85 del 2013).
Sono proprio le esigenze dettate dal ragionevole
bilanciamento tra i diritti e i principi coinvolti a determinare la
scelta della tecnica decisoria usata dalla Corte: così come la decisione
di illegittimità costituzionale può essere circoscritta solo ad alcuni
aspetti della disposizione sottoposta a giudizio – come avviene ad
esempio nelle pronunce manipolative – similmente la modulazione
dell’intervento della Corte può riguardare la dimensione temporale della
normativa impugnata, limitando gli effetti della declaratoria di
illegittimità costituzionale sul piano del tempo.
Del resto, la comparazione con altre Corti
costituzionali europee – quali ad esempio quelle austriaca, tedesca,
spagnola e portoghese – mostra che il contenimento degli effetti
retroattivi delle decisioni di illegittimità costituzionale rappresenta
una prassi diffusa, anche nei giudizi in via incidentale,
indipendentemente dal fatto che la Costituzione o il legislatore abbiano
esplicitamente conferito tali poteri al giudice delle leggi.
Una simile regolazione degli effetti temporali deve ritenersi consentita anche nel sistema italiano di giustizia costituzionale.
Essa non risulta inconciliabile con il rispetto del
requisito della rilevanza, proprio del giudizio incidentale (sentenza n.
50 del 1989). Va ricordato in proposito che tale requisito opera
soltanto nei confronti del giudice a quo ai fini della prospettabilità
della questione, ma non anche nei confronti della Corte ad quem al fine
della decisione sulla medesima. In questa chiave, si spiega come mai, di
norma, la Corte costituzionale svolga un controllo di mera plausibilità
sulla motivazione contenuta, in punto di rilevanza, nell’ordinanza di
rimessione, comunque effettuato con esclusivo riferimento al momento e
al modo in cui la questione di legittimità costituzionale è stata
sollevata. In questa prospettiva si spiega, ad esempio,
quell’orientamento giurisprudenziale che ha riconosciuto la
sindacabilità costituzionale delle norme penali di favore anche nelle
ipotesi in cui la pronuncia di accoglimento si rifletta soltanto «sullo
schema argomentativo della sentenza penale assolutoria, modificandone la
ratio decidendi […], pur fermi restando i pratici effetti di essa»
(sentenza n. 148 del 1983, ripresa sul punto dalla sentenza n. 28 del
2010).
Né si può dimenticare che, in virtù della declaratoria
di illegittimità costituzionale, gli interessi della parte ricorrente
trovano comunque una parziale soddisfazione nella rimozione, sia pure
solo pro futuro, della disposizione costituzionalmente illegittima.
Naturalmente, considerato il principio generale della
retroattività risultante dagli artt. 136 Cost. e 30 della legge n. 87
del 1953, gli interventi di questa Corte che regolano gli effetti
temporali della decisione devono essere vagliati alla luce del principio
di stretta proporzionalità. Essi debbono, pertanto, essere
rigorosamente subordinati alla sussistenza di due chiari presupposti:
l’impellente necessità di tutelare uno o più principi costituzionali i
quali, altrimenti, risulterebbero irrimediabilmente compromessi da una
decisione di mero accoglimento e la circostanza che la compressione
degli effetti retroattivi sia limitata a quanto strettamente necessario
per assicurare il contemperamento dei valori in gioco>
SOLO LA CORTE COSTITUZIONALE PUO' DUNQUE LIMITARE L'EFFICACIA RETROATTIVA DELLA PRONUNCIA DI INCOSTITUZIONALITA' IN MERITO AI RAPPORTI NON ESAURITI