Ecco quanto affermato da Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 27-03-2014) 23-06-2014, n. 27185 in punto valutazione testimonianza:
<Al riguardo, invero, deve ribadirsi il
principio, costantemente affermato da questa Suprema Corte, secondo
cui, esclusa la necessità che la testimonianza debba essere
corroborata dai cosiddetti "elementi di riscontro" richiesti
invece per le dichiarazioni accusatorie provenienti dai soggetti
indicati nel comma terzo dell'art. 192 c.p.p.,
il giudice deve limitarsi a verificare l'intrinseca
attendibilità della testimonianza stessa, partendo però dal
presupposto che, fino a prova contraria, il teste riferisce fatti
obiettivamente veri, o da lui ragionevolmente ritenuti tali.
Sotto
altro, ma connesso profilo, l'espressione "fino a prova
contraria" non significa che la deposizione testimoniale non possa
essere disattesa se non quando risulti positivamente dimostrato il
mendacio, ovvero il vizio di percezione o di ricordo del teste, ma
solo che devono esistere elementi positivi atti a rendere
obiettivamente plausibile l'una o l'altra di dette ipotesi (Sez. 1,
n. 7568 del 02/06/1993, dep. 03/08/1993, Rv. 194774).
Ne
discende, inoltre, che le dichiarazioni di un testimone (anche se si
tratti della persona offesa), per essere positivamente utilizzate dal
giudice, devono risultare credibili, oltrechè avere ad oggetto fatti
di diretta cognizione e specificamente indicati, con il logico
corollario che, contrariamente ad altre fonti di conoscenza, come le
dichiarazioni rese da coimputati o da imputati in reati connessi,
esse non abbisognano di riscontri esterni, il ricorso eventuale ai
quali è funzionale soltanto al vaglio di credibilità del testimone
(Sez. 3, n. 11829 del 26/08/1999, dep. 15/10/1999, Rv. 215247).>
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