La Corte di Cassazione con la sentenza n. 26858/2013 ha affermato come in via generale <non esiste un principio generale per il quale non possa essere fatto
valere in via di azione ciò che non possa essere fatto valere in
altro processo in via di eccezione per effetto di preclusioni
processuali>.
Ciò posto ha altresì osservato come <il potere di rilevare fatti impeditivi compete esclusivamente alla
parte (e soggiace perciò alle preclusioni previste per le attività
di parte) soltanto nei casi in cui la manifestazione della volontà
della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo
della fattispecie difensiva (come nel caso di eccezioni
corrispondenti alla titolarità di un'azione costitutiva e non certo
nel caso di specie, nel quale è onere dell'attore che agisce in
riduzione indicare le donazioni ricevute da imputare alla legittima),
ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come
indispensabile l'iniziativa di parte, dovendosi in ogni altro caso
ritenere la rilevabilità d'ufficio dei fatti modificativi,
impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio
legittimamente acquisito (Cass. S.U. 3/2/1998 n. 1099)>.
Nella fattispecie concreta ha dunque concluso che <L'eccezione per la quale l'attrice che agisce in riduzione ha
ricevuto donazioni in vita da imputare alla legittima costituisce
eccezione in senso lato e come tale il suo rilievo di ufficio non è
subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è
ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i
fatti risultino documentati "ex actis", in quanto il regime delle
eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo,
costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe vanificato
ove anche le questioni rilevabili d'ufficio fossero subordinate ai
limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in
senso stretto (cfr. Cass. S.U. 7/5/2013 n. 10531 Ord.)>
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